In occasione dell’uscita nelle sale del film “Tartarughe Sul Dorso” abbiamo incontrato Barbora Bobulova, protagonista della pellicola e vincitrice del David di Donatello come Miglior Attrice Italiana. Con garbo e disponibilità ci ha parlato della sua esperienza di attrice qui in Italia, del cinema italiano visto con gli occhi di una ragazza straniera e dei suoi futuri progetti.
Ciao Barbora, innanzitutto complimenti per il film, il tuo personaggio è molto intenso e riesce a trasmettere la tua passione di attrice. Ma cosa c’è di tuo in lei?
Pur essendo un personaggio fittizio penso abbia tantissimo di mio. Soprattutto il fatto di provenire da un paese straniero e di non avere radici solide. Anche lei però ha un passato fatto di memorie e della cultura del proprio paese che si porta costantemente sulle spalle, come il guscio di una tartaruga!
Cosa ti ha dato la città di Trieste e la sua atmosfera durante le riprese?
Sicuramente maggiore serenità rispetto a Roma, la città in cui vivo. E’ la prima città italiana in cui nessuno mi ha preso per una ragazza straniera e mi ha chiesto da dove venissi, a causa della mia fisicità sicuramente poco italiana. Mi sono sentita a casa, Trieste è sicuramente il mio luogo ideale dove abitare.
Parlando più in generale, in che modo ti prepari per interpretare i ruoli che scegli?
Non seguo un particolare metodo perché penso che quello di creare emozioni sia un lavoro più irrazionale e privato che non un procedimento studiato a tavolino. Sicuramente cerco di avvicinarmi al personaggio in ogni momento della mia vita quotidiana, ci convivo cercando di aggiungerci il mio vissuto personale e di modificarlo senza però invadere i suoi spazi, seguo il mio istinto. In ogni caso non importa il metodo con cui ci si arriva, l’importante è il risultato.
Con quale atteggiamento ti poni nei confronti dei registi con cui lavori?
Mi fido e cerco dare sempre la mia massima disponibilità: più che di mettermi in mostra come attrice preferisco far parlare il regista, cerco di essere una spugna che assorbe tutti gli stimoli e le indicazioni che mi vengono dalla persona che mi dirige. Per me il regista è come un padre, e come da piccola facevo letteralmente di tutto per accontentare mio padre, così faccio oggi per accontentare il regista.
Quali sono le differenze nel lavorare con un regista affermato piuttosto che con uno esordiente?
Lavorare con i giovani registi per me è gratificante, perché non avendo grande esperienza mi consentono di lavorare con maggiore libertà rispetto a maestri come Ozpetek. Il rischio però sta nel fatto che il film di un esordiente spesso esce nelle sale anche dopo un anno come nel caso di Tartarughe sul dorso, oppure non esce proprio, ma è un rischio che corro volentieri perché i giovani registi sono la forza e il futuro del cinema italiano, quelli su cui si dovrebbe puntare di più: registi come Pasetto stesso, poi Garrone, Costanzo, Sorrentino, con cui vorrei lavorare in futuro.
Spesso interpreti ruoli drammatici di donne ad un bivio della loro esistenza, ma c’è posto nella tua vita e carriera per l’ironia, per una commedia?
Ma certo. Dai miei personaggi non traspare ma nella vita di tutti i giorni sono una persona molto ironica, anche se spesso la mia ironia non viene capita perché credo poco mediterranea. In ogni caso mi piacerebbe molto recitare in qualche film più leggero. Purtroppo però le commedie che mi sono state proposte non mi hanno convinto per niente: tutte troppo frivole e prive di qualità, mancano di approfondimento, per cui sono ancora qui ad aspettare una proposta valida.
L’immagine che trasmetti al pubblico è quella di una donna forte e sicura di sé. Quali sono le tue paure e come affronti le difficoltà che la tua vita e la professione che fai ti mettono di fronte?
Come ogni essere umano ho dovuto affrontare piccole o grandi crisi e superare diversi momenti difficili, in primo luogo l’ambientarmi qui in Italia non conoscendo una sola parola della vostra lingua. Fortunatamente però penso di essere una persona autonoma e ho sempre cercato di salvaguardare questa mia indipendenza, per cui sono sempre riuscita a rimettermi in piedi da sola. Il mio lavoro mi porta ad avere non poche insicurezze, che però affronto con serenità e leggerezza: in fondo è solo un lavoro, non è la mia vita. In effetti l’unica cosa che letteralmente mi terrorizza è il buio: non riesco proprio a dormire senza un filo di luce nella stanza!
Nella tua carriera sei passata dal teatro alla televisione al cinema: qual è il tuo ambito ideale?
Sicuramente il cinema. Lavorare per la televisione significa seguire degli schemi che spesso imprigionano e limitano la creatività. Il teatro è il mio primo amore e mi piacerebbe lavorarci ancora, però il cinema è magico perché è libertà, autorevolezza, creatività e coraggio. Tutte caratteristiche per me irrinunciabili.
Che progetti hai per il futuro?
Ultimamente sto lavorando al primo film da regista di Kim Rossi-Stuart che si chiama Anche Libero va bene. Kim è una persona meravigliosa ed è un piacere lavoraci assieme, con gli attori è molto carezzevole, soprattutto con il bambino che all’interno del film interpreta una parte importante.
Sicuramente Kim ha già esperienze di questo tipo avendoci già lavorato ne Le chiavi di casa di Gianni Amelio. Per te invece com’è lavorare con un bambino?
Gratificante ma spesso faticoso. In scena un bambino può portare molta spontaneità ed energia però capita spesso di doverci tutti piegare ai suoi tempi e capricci, quando capita il giorno che ha il mal di pancia non si può fare niente!
E se invece il mal di pancia viene ad un’attrice affermata, fresca fresca di David di Donatello?
Beh… un’attrice deve avere un forte senso di responsabilità per ottenere certi risultati. Può sembrare strano ma anche la più affermata non può permettersi di fare i capricci, per cui va avanti e soffre in silenzio.