Intervista a Pier Ferrantini, frontman dei Velvet

Il ritorno del Velvet con il nuovo EP "La razionalità"

A quattro anni dal loro precedente lavoro, i Velvet tornano in sala di registrazione per realizzare un ep tutto loro: La razionalità. Suoni originali, intrecci di chitarre e bassi pressanti, ma soprattutto una dose tutta nuova di elettronica. La tematica che percorre l’intero ep riguarda il labile confine tra ragione e istinto, non senza qualche punta di ironia e qualche critica al clima politico attuale. Maturi e disillusi, ma sempre più innamorati del loro mestiere. Questo e altro nella nostra chiacchierata con Pier Ferrantini, frontman del gruppo…

NSC: Il vostro precedente album risale al 2009. Come mai una pausa così lunga e cosa vi ha spinto a tornare a registrare?

PF: In realtà negli ultimi quattro anni non siamo mai usciti da uno studio di registrazione: non lavoravamo sulle cose dei Velvet, ma abbiamo prodotto dischi per altri artisti, scritto musica per cinema e promo, canzoni per serie tv americane… Insomma, ci siamo dati parecchio da fare. Semplicemente ci siamo presi una pausa come “Velvet”, per poi ritornare alla carica con più entusiasmo di prima. Tra l’altro, fino a fine 2010 siamo stati in tour, quindi la pausa vera e propria è stata di un anno circa.

NSC: Nel vostro ep si nota un importante uso dell’elettronica, elemento più marginale nei vostri primi lavori…

PF: E’ stata una continua evoluzione: avevamo iniziato a fare un utilizzo piuttosto massiccio dell’elettronica già nel nostro precedente album, Nella lista delle cattive abitudini, che consideriamo infatti il nostro disco “della svolta”. Poi abbiamo continuato questa esplorazione nel nostro Best, uscito nel 2010, in cui abbiamo mischiato rock, suoni veri, suoni finti, sintetizzatori, tolto un po’ di chitarre. E abbiamo proseguito su questa strada in questo ep, il nostro primo lavoro prodotto interamente da noi.

NSC: Nel video di La razionalità recitano Giulia Bevilacqua, Maurizio D’Agostino e Piergiorgio Bellocchio. Il brano Cento Corpi, invece, è stato utilizzato per la colonna sonora di Extra, film di Marco Pavone. Qual è il cinema che amate di più?

PF: Il nostro lato intellettuale – artistico – serio ovviamente ama il cinema classico, quello sperimentale, i registi che osano… Però nei momenti di maggiore pressione tutti noi preferiamo rilassarci guardando film bruttini, ma che ci gasano molto, come i film d’azione americani: i vari Mission Impossible, i film con Tom Cruise… Pellicole che noi stessi consideriamo delle cavolate, ma che in tour ci divertono un sacco. A parte queste battute, ovviamente amiamo guardare il cinema serio. Io in particolare ho un occhio di riguardo per il cinema italiano di qualità. Per esempio, ho amato molto Miele di Valeria Golino, uno degli ultimi film che ho visto. Ne ho apprezzato la fotografia: finalmente un film italiano che l’ha curata come un film straniero.

NSC: Voi siete anche produttori, come state vivendo la crisi della discografia?

PF: Molto male, perché è triste e avvilente pensare a come in così pochi anni il mercato discografico sia stato rivoluzionato, e ancor più come sia cambiata l’attenzione che il pubblico rivolge agli artisti. Quando noi abbiamo iniziato a suonare, negli anni 2000, era molto più facile crearsi una fan base, un pubblico affezionato che ti seguiva ad ogni concerto considerandoti la band preferita. Oggi tutto questo è decisamente più complicato. C’è ancora la passione per un artista, ma dura poco, è distratta. Questo è molto evidente nell’hip-hop: si parla solo dei rapper italiani, ma alcuni sono nati e morti senza rendersi neanche conto di quello che fosse successo. Un altro esempio sono i talent: è tutto estremamente veloce e senza passione. Questo per me è il vero problema da risolvere. Perché, per il resto, ora si può fare musica in maniera molto semplice: noi abbiamo la fortuna di esserci portati in vantaggio da anni, e ora siamo manager di noi stessi, gestiamo autonomamente i conti delle attività della band. Ma la vera difficoltà sta nel pubblico, disamorato.

NSC: Il discorso portato avanti in tutto il disco è il labile confine tra razionalità e istinto. Ci spieghi la vostra interpretazione e se per te ci sono dei punti di contatto tra questi due mondi?

PF: Il disco parla di varie cose, però il discorso più profondo che volevamo esplorare riguarda proprio il fatto che ognuno di noi recita la parte per la quale è più portato o nella quale si ritrova meglio. Ma io credo che ogni vita meriti di essere vissuta nella semplice ricerca della serenità interiore, al di là di quello che si fa, di ciò che ci è stato insegnato o di quello che gli altri si aspettano da noi. E’ vero che cercare di ricondurre tutto a un aspetto razionale è salutare ma, soprattutto in un’epoca di crisi socio-economica così importante come quella che stiamo vivendo noi, forse l’istinto è l’unica cosa che ci può aiutare a prendere le decisioni vincenti. Riconducendo il tutto alla carriera dei Velvet, anche noi abbiamo preso delle decisioni che al momento sembravano sbagliate, semplicemente fidandoci del nostro istinto. E ora posso finalmente dire che alla fine avevamo ragione noi. Così in qualsiasi esperienza credo non sia positivo rimanere ancorati a quello che è scritto in un copione, senza per forza dover rovesciare le nostre vite ogni giorno, ovviamente.