Intervista agli organizzatori di “Hollywood Giudecca”

Incontro con Massimiliano Maltoni e Luca Evangelisti

A Massimiliano Maltoni e Luca Evangelisti, organizzatori del progetto “Hollywood Giudecca”, abbiamo rivolto alcune domande.

La Scalera Film: una storia poco conosciuta. Volete parlarne un po’?

In effetti, è una storia ben poco nota, nonostante la Scalera Film, nei primi anni ’40, fosse la principale Casa di produzione e distribuzione cinematografica in Italia, e l’unica in Europa (con la tedesca UFA) a tentare la via dello studio-system hollywoodiano.
L’esperienza veneziana della Scalera Film ha inizio nel 1942, con l’individuazione della fattoria della famiglia Mazzega Moro (situata tra il Mulino Stucky e la fabbrica di birra) come luogo deputato all’insediamento degli studi. La scelta di Venezia fu probabilmente dettata dalla necessità di trovare un luogo alternativo a Roma ove poter continuare la produzione, al “riparo” dalla guerra; la Casa si era poi specializzata nella produzione di film di genere “cappa e spada” ad ambientazione storico-veneziana (ricordiamo Il bravo di Venezia, I due Foscari, Capitan Tempesta), perciò possiamo addurre ragioni di tipo logistico, legate alla possibilità di avere propri teatri di posa attrezzati in appoggio alle troupes impegnate con le riprese in esterni. Infine, non dimentichiamo che l’attività principale dei fratelli Scalera era l’edilizia…
Le difficoltà imposte dalla guerra, e la lentissima ripresa economica negli anni immediatamente successivi, condizionarono profondamente l’attività della Scalera Film. In 6 anni, dal 1944 al 1950 vennero realizzati in Giudecca (tra produzioni e co-produzioni) 11 film, da Senza Famiglia, a La rivale dell’imperatrice; senza contare l’Othello di Orson Welles, la cui onerosa produzione diede il colpo definitivo alle disastrate finanze della Casa, determinandone il fallimento.

Quali sono stati i motivi che vi hanno spinto a realizzare questa ricerca?

È cominciato tutto per curiosità personale: in molti a Venezia, specie i meno giovani, sanno che è esistita la Scalera, ma poi, andando ad indagare, della Scalera se ne conosce poco più che il nome. All’inizio, senza indicazioni cartografiche, è stato difficile perfino identificare la locazione dei teatri di posa…
Ciò che ci ha affascinato di più di questa esperienza è stato il tentativo, assolutamente azzardato già allora, di impiantare una vera e propria industria cinematografica in un posto così inadatto da un punto di vista logistico come Venezia. In Italia è sempre stato difficilissimo fare cinema lontano da Roma, e gli ultimi, drammatici anni della Scalera esemplificano a meraviglia questo teorema. Ma allo stesso tempo, pur nella velleità del progetto, è stata un’esperienza vitalissima ed affascinante, testimonianza di un periodo in cui anche a Venezia sembrava possibile un percorso “normale”, lontano da quello sfruttamento un pò mortuario del turismo su cui si basa oggi l’economia della città.

Che difficoltà avete incontrato?

Sin da subito ci siamo resi conto (e anche un po’ stupiti) della scarsità di documenti e studi sulla Scalera. Lo stretto legame con il regime fascista, ha forse determinato una sorta di “rimozione” della Scalera Film nella storiografia ufficiale. Accortici di tale profondo vuoto, siamo partiti da quel poco che era stato scritto, e ci siamo necessariamente concentrati sul recupero della memoria storica (attraverso le interviste agli ex lavoratori) e sulle poche testimonianze iconografiche – soprattutto le foto e i film –, e da lì abbiamo ricostruito il tutto in maniera assolutamente indiziaria, mettendo assieme i pezzi, confrontando le “prove” e ricostruendo i fatti. La ricerca, ben lungi da essere conclusa, non sarebbe stata possibile senza il prezioso aiuto del prof. Carlo Montanaro; un’altra luce nel buio, è stata poi l’incontro con Marianna Clissa, giovane neolaureata in Scienza della Comunicazione con la prima tesi mai scritta in Italia sulla Scalera Film.
La difficoltà principale è rappresentata dal reperimento di tutto il materiale iconografico. Sfortunatamente ne è andata dispersa una gran parte – tra cui il fondamentale archivio Schulte, ultimo depositario di tutta l’attività degli stabilimenti giudecchini – o giace sepolta in chissà quali archivi privati.

60 anni fa qui a Venezia c’era la Scalera Film che produceva film. Oggi che il clima sociale è sicuramente migliore, con la Biennale Cinema, al massimo, si possono vedere solo i film. Non vi sembra un po’ poco?

Certamente, tanto più se si pensa che, al di là della Biennale, in regime “ordinario” anche i film si fa una gran fatica solo a vederli. Cinema privati non ne esistono più, sopravvivono solo due cinema comunali (di cui uno al Lido di Venezia) con programmazione d’essai. Ma rientra tutto nello sviluppo della città di cui si parlava prima, in quello sfruttamento del turismo che è diventata l’unica vera ragione di esistere di Venezia. Quel poco di industria cinematografica che ancora sussiste in laguna va in questo senso, dalle Film Commission (Veneto e ora anche Venice Film Commission) alle società di service come Mestiere Cinema e la CRG International – tutti organismi che basano la propria attività sull’appoggio a produzioni esterne, che vengono a Venezia attratte dal suo appeal da cartolina.
Francamente, non vediamo grandi possibilità di sviluppo diverse da queste. Ci ha già provato la Scalera, in un periodo in cui il costo del lavoro era di molto inferiore, e non ha superato i 10 anni di vita. Ma al di là della congiuntura, ormai lo sfruttamento turistico ha raggiunto livelli tali da non permettere più uno sviluppo industriale normale. Se qualche possibilità di sviluppo permane ancora, non è certamente a Venezia, ma piuttosto nell’entroterra – a Mestre e soprattutto a Marghera, che si presta particolarmente ad un programma di riconversione analogo a quello già svolto a Torino (che è ora il centro produttivo più attivo dopo Roma). Una direzione già indicata, ad esempio, dalla lavorazione del Casanova nel 2004.