Il pregio della scrittura di LeRoy è da ricercarsi in uno stile immediato, deciso, mai malinconico, ma soprattutto nella scelta della voce narrante: chi parla (un bambino nei primi due testi, un giovane nell’ultimo) è sempre ingenuo ed incantato. Ed è appunto attraverso l’incanto dell’innocenza che si percepisce l’infinitezza dell’inferno.
Sarah racconta la storia di un bambino che, seguendo le orme della madre, sfrutta e valorizza i suoi tratti femminili per prostituirsi, adottando appunto il nome d’arte di “Sarah”. Ma è anche la storia di un bambino che, ingenuo e fiducioso, si addentra in un mondo piccolo e buio in cui c’è spazio soltanto per un’abissale solitudine. Solitudine che altrove non può portare se non ad una profonda confusione psicologica e sessuale, surreale e perversa agli occhi del lettore che la vede così docilmente accettata da un personaggio per cui rappresenta l’unica modalità esistenziale.
Sarah, J.T.LeRoy, Fazi Editore, 2002, pagg.178, 11,50 euro
Ingannevole è il cuore più di ogni cosa ripropone una figura principale molto simile a quella del primo romanzo. Il bambino, Jeremiah, nato da una madre troppo giovane e affidato ad una famiglia modello, si ritrova improvvisamente oggetto delle rivendicazioni della madre naturale. Pur contro la sua volontà, Jeremiah va a vivere con lei e, con il tempo, impara ad amarla e la segue in tutto, fiducioso e “innamorato”. Ma in questo caso non è importante ciò che concretamente fa il protagonista, quanto piuttosto l’adorazione e l’amore incondizionato per la madre, indiscutibilmente folle, che lui vede come un essere assolutamente perfetto, indiscutibilmente divino.
Ingannevole è il cuore più di ogni cosa, J.T.LeRoy, Fazi Editore, 2002, pagg.236, 12.50 euro
La fine di Harold cambia solo apparentemente soggetto. Questa volta il protagonista è un giovane, solo ed emarginato, abituato a vivere per strada che un giorno viene adescato da uno sconosciuto. Pur essendo fin da subito chiare le intenzioni, tutt’altro che buone, dello sconosciuto, il giovane, preda della solitudine si illude di poter cambiare vita, di poter essere finalmente amato ma viene in breve abbandonato, come un giocattolo rotto. In questo romanzo, la solitudine, reale protagonista del primo di questi romanzi, sommandosi all’illusione e al dolore della disillusione, diventa ancor più mostruosa ed angosciante.
La fine di Harold, J.T.LeRoy, Fazi Editore, 2003, pagg.89, 10 euro
Secondo le fonti ufficiale J.T.LeRoy ha iniziato a scrivere su consiglio del Dr.Owens, psichiatra e amico, che l’avrebbe strappato ad una vita disagiata e infernale di cui scrive per “disintossicarsi”. LeRoy si è presentato come un bambino ferito e incapace di reagire, confuso e perduto: da questo deriva gran parte del successo che ha riscosso.
Tuttavia pur perdendosi delle parole, è impossibile non chiedersi se questo scrittore, che si presenta come un personaggio certamente anomalo, non sia in realtà studiato a tavolino da un’acuta mente pubblicitaria che ha saputo far leva sulla superficialità e sul “buon cuore” del pubblico.
Se di progetto pubblicitario si trattasse sarebbe doveroso lodare la raffinatezza della seduzione con cui le parole confondono e pertanto raggirano il lettore che non si chiede più quale sia lo scopo del discorso, essendone ormai letteralmente risucchiato. E se così fosse non potrebbe essere interpretato come un doppio senso, quasi sbeffeggiante, il titolo “Ingannevole è il cuore più di ogni cosa”? Sebbene si tratti di una citazione della Bibbia, non potrebbe essere riciclata come segnale di beffa? Quanti sono effettivamente i lettori che mettono in dubbio ciò che leggono?
Se invece di “sola” autobiografia dovesse trattarsi , scomparirebbe l’abilità di sedurre del personaggio che “ci vendono” e ne rimarrebbe soltanto l’immediatezza stilistica e il coraggio di stare “nudo in pubblico”. E pertanto non rimarrebbe che chiedersi come sarebbe la produzione di LeRoy fuori dall’autobiografia.