Karlovy Vary: “Honeymoon” di Jan Hrebejk

Vecchi fantasmi riemergono il giorno del matrimonio

Concorso
È il giorno in cui Tereza e Radim, entrambi con alle spalle amori falliti, finalmente potranno sposarsi e costruirsi un nido di serenità. Ma un incontro inaspettato rovinerà loro la festa.

Con questo che se non sbagliamo il conto è il suo tredicesimo film Jan Hrebejk si porta a casa il premio come miglior regista. Vero è che era il beniamino di casa e che è uno degli autori più noti e produttivi della Repubblica Ceca, ma il fatto stesso che non riesca a stare neanche un anno senza girare almeno un film lo aveva portato ultimamente a essere ripetitivo e superficiale, abbassando di molto le aspettative suscitate con i suoi primi film.
Hrebejk si alterna fra le storie praghesi che comprendono solo i praghesi (non riusciamo a descriverle in altro modo…) e i soggetti di maggior respiro e profondità, come il bel Divided We Fall (2000) o Horem padem (2004) dove era riuscito a essere allo stesso tempo feroce e umile nei confronti della storia della propria nazione e dei suoi stereotipi.

Questo Honeymoon riprende nelle atmosfere e negli assunti due dei suoi ultimi film più impegnati, tendendo a creare una libera trilogia sui temi della responsabilità e dei conti con il passato. Ci sono sicuramente diversi punti a favore di questo suo ultimo film, e la regia di Hrebejk è sicuramente a livelli di professionalità ineccepibile e non sfigura assolutamente nei parterre internazionali: riesce a filmare gruppi e singoli in naturale alternanza di intensità psicologica (lui stesso ha scomodato Bergman parlando di questo film), crea un’atmosfera di mistero e aspettativa centellinando espressioni e informazioni sui personaggi, ci inchioda alla fine con un monologo rivelatore lungo più di dieci minuti (merito ovvio anche dell’attore che lo recita). Eppure hai sempre la sensazione che stia semplicemente facendo il nuovo compitino che ogni anno di prefigge: qualcosa devo pur girare, ora farò ridere, ora vi farò “riflettere”.

Si può certamente lodare il coraggio che ha avuto nel non puntare sul solito cast di attori e comparse cechi immediatamente riconoscibili e associati dal pubblico locale a certi tipi ben definiti: oltre alla sua musa, la brava Ana Geislerova, Hrebejk ha infatti puntato per i due ruoli maschili principali su due poco noti attori di teatro, Jiri Cerny e Stanislav Majer, con il quale aveva già collaborato in occasione delle riprese di uno spettacolo tratto da Fassbinder. Entrambi sono convincenti a tal punto che incontrandoli per le strade ti aspetteresti un comportamento simile a quello dei loro personaggi: soprattutto l’Ales interpretato da Cerny, con il suo misto di indifesa inettitudine e serena sete di vendetta, rimane impresso nella mente e ci consegna un attore che i registi cechi non devono lasciarsi più sfuggire.

Sullo sfondo di una festa di nozze proprio Ales si insinua come ospite non invitato e fino alla fine non sarà chiaro fino a che punto egli finga di avere fra gli ospiti vecchie conoscenze o sia invece il novello sposo a rifiutare di rivangare il passato. Fra tira e molla emozionali questa vicenda basata su dialoghi tesi e spesso ben scritti si incammina verso un’escalation emotiva e lo scontro fra i protagonisti del presente e i fantasmi di quello che erano in gioventù. Interessante è anche il tentativo di affrontare la tematica della violenza psicologica e fisica sui giovani più sensibili e sugli omosessuali: anche se a mio parere ci vorrebbe un regista diverso da Hrebejk per cogliere senza semplificazioni i complessi meandri psicologici di tale problematica, questo Honeymoon, pur scadendo qua e là in qualche stereotipo, costringerà gli spettatori meno attenti a non sottovalutare certi propri atteggiamenti e a non ridimensionarli come fossero ingenui peccati di gioventù: se sei un violento e un prevaricatore da giovane probabilmente sarai pronto a ridiventarlo alla minima occasione anche in età adulta.

Un premio che alla fine non fa certo gridare allo scandalo, un film che pur non perfetto ha il merito di una buona costruzione drammaturgica, ottimi contributi attoriali e tecnici e ci restituisce un regista che speriamo continui su questa strada e che magari giri meno film, ma intensi come questo.