Dai film d’esordio di Kira Muratova a un omaggio al cinema curdo, da John Travolta a tutti i film cechi dell’anno. Karlovy Vary continua ad essere uno dei festival più divertenti e open-minded d’Europa.
Sta per compiere il mezzo secolo, ma rimane sempre uno dei festival più giovani e frizzanti d’Europa: il Karlovy Vary Film Festival è partito con il botto mediatico dovuto alla presenza di John Travolta e di Michel Gondry, il che conferma anche in questa 48esima edizione il giusto equilibrio fra star-system e cinema di ricerca.
Il concorso è vario e promettente, e comprende quattordici fra esordi, autori da riscoprire e diversi registi che qui nella cittadina termale ceca hanno già vinto negli anni precedenti. Uno di questi è l’israeliano Joseph Madmony, che ci aveva stupito con il suo racconto intimo Il restauratore e torna quest’anno con la vicenda di un uomo che scambia il suo posto in paradiso con un biblico “piatto di lenticchie”, mentre un altro ex-vincitore, il polacco Krauze, scommette nuovamente sulla scoperta di un’artista popolare: qualche anno fa ci aveva fatto conoscere il pittore naif Nikifor, ora è la volta della poetessa zigana Papusza, la prima artista a poetare nella lingua dei Rom.
Fra gli altri registi slavi si registra l’interessante I figli del prete del croato Vinko Bresan, che ha deciso di colpire con una satira religiosa alcuni stereotipi della sua nazione, mentre il paladino di casa Jan Hrebejk deve semplicemente (si spera) ritrovare la vena che gli è propria con il suo Honeymoon, nella speranza che non si adagi di nuovo nelle commediole di poco respiro in cui si è perso negli ultimi anni, e che sembrano piacere ad un certo pubblico ceco senza troppe pretese.
Proseguendo questa suddivisione geografica diremo che pare notevole anche il contributo dei film germanici, con autori pronti a stupire e forse a scioccare: il tedesco Oskar Roehler (lo ricordiamo per Particelle elementari, da Houellebecq) cerca di confermare la fama di enfant terrible con una storia generazionale che mappa tre decenni della Germania postbellica (Le sorgenti della vita), mentre l’islandese Martin Thorsson con XL descrive il tentativo di un politico corrotto e alcolizzato di rimettersi in carreggiata, con uno stile che si promette adrenalinico.
In Concorso, come è abitudine in un festival che ha sempre amato gli italiani, c’è anche Roberto Andò con Viva la libertà. Chissà se il pubblico internazionale riuscirà ancora una volta ad orientarsi negli impicci politici del Belpaese. Il furto rivisitato al tempo della crisi lavorativa è invece ben comprensibile a tutte le latitudini, e ce ne offre una versione francese Philippe Godeau, con 11.6, in cui recita un intraprendente Francois Cluzet. Fra le curiosità promettenti si possono segnalare l’ungherese Janos Szasz, che anni fa fece parlare di sé con la propria versione del Woyzeck, o l’uzbeko Jusup Razykov, autore del bel Gastarbeiter (2009), che quest’anno torna con un dramma femminile (Shame) dedicato a una recente sciagura avvenuta nel nord della Russia.
Fra gli omaggi personali e storici, segnaliamo la sezione “Ritorno alle fonti”, dove saranno riproposti film fondamentali di Vera Chytilova e Kira Muratova, ma anche un gruppo di pellicole ceche fondamentali, fra le quali la versione ricostruita filologicamente di un “thriller” muto del 1921, L’arrivo del buio. Per concludere sottolineiamo l’offerta come sempre affascinante della seconda sezione competitiva, “Ad Est dell’Ovest”, che permette di dare uno sguardo cumulativo alla migliore produzione dell’Europa da Praga in là, fin verso le steppe siberiane.
La presidentessa di Giuria del Concorso merita una menzione a parte: è Agnieszka Holland, che qui presenterà anche la sua personale ricostruzione a puntate della vicenda di Jan Palach: Il cespuglio in fiamme, girato per la HBO, rappresenta senza dubbio un avvenimento culturale di importanza europea.