Karlovy Vary: “The Priest’s Children” di Vinko Bresan

Andate e moltiplicateli

Concorso
Si sa, i preservativi non sono mai stati visti di buon occhio dalla chiesa cattolica. Almeno quelli funzionanti…

Vinko Bresan è nato a Zagabria nel ’64, ed ha avuto modo di farsi notare in vari festival internazionali per un buon piglio registico e per una riflessione non banale sui vari drammi dell’ex-Jugoslavia. Il suo Testimoni è uno dei suoi pochi lavori impostati su toni esclusivamente drammatici e ha vinto il premio della Giuria Ecumenica alla Berlinale nel 2003, mentre altre sue sceneggiature mischiavano temi importanti con i toni tragicomici. Così è stato anche per questo “I figli del prete”, che ci ha stupito con uno spirito brioso e colorato, e che fa venire in mente più che i soliti drammi etnici sui contrasti fra serbi e croati la commedia francese sbarazzina e grottesca (o addirittura un film come Amelie).

Sull’isola dalmata in cui è ambientata la vicenda il problema che angoscia il sacerdote e i notabili del luogo è la bassa natalità: non si possono solo celebrare funerali, ogni tanto ci vorrebbe un battesimo. Ma finché i pigri e disimpegnati isolani continueranno a servirsi delle meraviglie scientifiche della contraccezione, non sarà certo possibile far fare un grande salto in avanti alla natalità infantile. L’idea su cui si basa il soggetto è che il nuovo giovane sacerdote appena giunto in parrocchia “saboti” la contraccezione, bucando nottetempo uno ad uno i preservativi, di cui diventa grande esperto e consumatore “passivo”…Fin qui l’idea bislacca e originale, sulla quale si basa tutta la trama. Forse un po’ poco per tirare fino alla fine, ed infatti, per quanto si sforzi di dar vita alla storia con episodi e invenzioni a volte un po’ stiracchiate, Bressan vince la scommessa solo a metà. Per quanto piacevole e recitato con brio, il film alla fine non sa bene dove andare a parare, se verso la farsa situazionale, la leggera critica sociale o addirittura la denuncia. Sì, perché negli ultimi minuti spunta perfino la piaga della pedofilia sacerdotale, che a dire il vero stona parecchio con il tono leggero del film e sembra introdurre una svolta inaspettata e poco credibile. Ugualmente poco legata strutturalmente sembra la parte finale in cui il giovane prete deve affrontare la responsabilità e i rimorsi per le sventure di alcuni concittadini, che pagano per la sua condotta spregiudicata.

I personaggi sono più o meno e volontariamente macchiette, impostati in maniera caricaturale e naif, e il grottesco predomina per buona parte del film. Fra i leitmotiv più gustosi c’è la parodia dei nazionalisti che vedono in qualsiasi straniero una minaccia per la purezza della “razza croata”. Nel complesso però l’idea che sembra trapelare è che ormai la guerra è finita e si devono affrontare problemi più attuali. Non è escluso che uno dei fini secondari della produzione sia turistico: immaginiamo che la pittoresca e solatia isola croata che ha ospitato il set possa vedere aumentare i propri introiti estivi. Gustoso fra l’altro il cameo di Lazar Ristovski (il “Nero” di Underground) nei panni di un vescovo bonario e sessualmente progressista.

L’impressione lasciata dal film è stata dunque nel complesso positiva, come una ventata d’aria fresca, e in un concorso è in fondo giusto proporre anche pellicole meno impegnate, o che almeno nascondano il proprio impegno dietro una facciata di farsa spensierata. Ad ogni modo non si vede perché condannare il tentativo del buon Bresan di intrattenere con simpatia e un paio di idee felici un pubblico che non deve necessariamente conoscere solo i preti de La messa è finita o i curati di campagna, ma anche i semplici scrupoli di coscienza di un “inseminatore artificiale”.

MASSIMO TRIA