L’ARTE DI CONSERVARE L’ARTE

Intervista a Enzo Di Martino

All’indomani dell’apertura della 10° Edizione del Salone dei Beni e delle Attività Culturali di Venezia (1-3/12/2006), e a distanza di quasi un anno dall’uscita del volume “Restauro e conservazione dell’arte contemporanea” (Ed.Umberto Allemandi & C.), abbiamo incontrato il curatore e critico d’arte Enzo Di Martino.

Pensa che l’arte, oggi, sia divenuta troppo autocelebrativa?

Il momento in cui l’arte ha perso la centralità di un tempo, raccontando storie civili e religiose, è forse quello della Rivoluzione Francese. Inizia allora la fine della grande committenza e l’arte comincia a definire la propria ricerca al suo stesso interno, esaltando gli aspetti formali della sua stessa ricerca.
Il “big bang” delle avanguardie del XX secolo, poi, dimostra che l’arte rivolge contemporaneamente la sua attenzione verso molteplici direzioni, sia ispirative che tecniche. Del resto quando «la pittura scesa dal muro e si è depositata sulla tela, nella solitudine dello studio – secondo un pensatore francese – il “male” è entrato irrimediabilmente nell’arte».

Il restauro non è più “solo” contatto salvifico tecnico ma anche un contatto salvifico concettuale?

Da non molto si sono celebrati i cento anni dalla nascita di Cesare Brandi la cui “Teoria del restauro” è la base fondamentale per ogni intervento conservativo d’arte. Ma l’arte è cambiata radicalmente rispetto al passato, anche “ideologicamente”, e soprattutto molti nuovi materiali, spesso deperibili, fanno parte della strumentazione di un artista. Il restauro dell’arte in generale, ma soprattutto per quanto riguarda l’arte contemporanea, risulta essere una questione con diverse implicazioni, che nessuno affronta seriamente, a parte gli incontri “tecnici” tra gli stessi restauratori. Il problema, oggi, è dare ai restauratori, anche quelli “tradizionali”, che sono già preparati a salvare e conservare ogni tipo di opera, direttive formali ed estetiche precise sulle opere. Occorre “aggiornare” gli insegnamenti di Brandi per difendere l’identità delle opere, quella concettuale innanzitutto, ma anche gli interessi dei musei e dei collezionisti.

I contrasti in merito il concetto di “durabilità” dell’arte contemporanea non rischiano di complicare il panorama artistico contemporaneo?

Sebbene alcuni artisti contemporanei abbiano pensato la loro opera per non durare nel tempo – il “Fiato di artista” di Manzoni, ad esempio – è evidente che si cerca di conservarla, non fosse altro che per ragioni di valore economico, oltre che documentario. Ma è altrettanto evidente che l’opera può essere snaturata da un intervento conservativo e non avere più il senso con il quale era stata pensata.