Si è svolta ieri pomeriggio fino alle prime ore di sera, mentre in Italia era piena notte, la Cerimonia degli Oscar 2008. E forse per la prima volta dopo molti anni è stato premiato il Cinema di classe, non quello di botteghino.
Come spesso succede, le previsioni sono state rispettate. Ma questa volta, le previsioni davano per vincitori dei vincitori assoluti del cinema contemporaneo.
I fratelli Coen, Joel ed Ethan, questa notte si sono sentiti acclamare come i migliori registi del momento, con nelle tasche il capolavoro dell’anno, film teso sulla società americana, violenta e al tramonto, verso la strada della perdizione umana e sociale.
I selezionatori della Academy, solitamente indirizzati verso scelte limpide e popolari, hanno preso posizione, per una volta, e non hanno potuto non seguire l’istinto.
I Coen e il loro gioiello Non è un paese per vecchi, tratto dal romanzo di Cormac McCarty sono il passato prossimo più straordinario tecnicamente; il loro cinema è fatto di gocce di spremuta di classe: dialoghi serrati, stretti nelle morse degli avvenimenti imprevisti della vita, ironicamente persi nella vacuità delle conversazioni moderne, fotografie di volti e suggestioni di paesaggi fino alle sceneggiature dalle alchimie chimiche, che siano originali o non.
Ma non è l’unica novità di tendenza.
La vera sorpresa è la riscoperta dell’amore per l’Europa e per i suoi geni, figli di un patrimonio cinematografico immenso.
E non sono i film premiati a metterlo in luce, ma gli interpreti e i professionisti consacrati.
Da Javier Bardem, splendido spagnolo dalle interpretazioni fuoco e ghiaccio, a Daniel Day Lewis (inglese), interprete di pelle e sudore, passando per la giovane Marion Cottilard (francese), sofisticata ed emozionata nella vita e sullo schermo, e per la scozzese Tilda Switon, algida e androgina permeabile ai suoi eterei personaggi.
La classe e la sensualità della Europa più attraente, più cosciente della propria potenza espressiva e dell’arte antica della cinematografia d’autore.
Come non menzionare, poi, l’Oscar per l’arte della scenografia d’impatto, maestria di Dante Ferretti, che nel nuovo Tim Burton rende materiali le immagini nascoste nell’occhio del regista, creando sinfonie di un paesaggio d’inverno lontano, favole di ambienti e oggetti.
La riscoperta di un paradiso perduto che, come ha dichiarato Daniel Day Lewis, potrebbe essere solo un fenomeno momentaneo ed effimero.
Ma che per una volta ha premiato la qualità e la modernità, antagonisti da sempre del modello di cinema hollywoodiano.