Wiesel, oggi, è un pacato signore di settantotto anni, dai capelli brizzolati, lo sguardo attento, intelligente. Vive negli Stati Uniti, dove insegna presso l’università di Boston.
Premio Nobel per la pace, nel 1986, Wiesel è uno dei pochi sopravvissuti alla tragedia dell’olocausto, che ancora si spende, in giro per il mondo, affinché nulla venga dimenticato.
Elie Wiesel era un fervente credente, prima di vedere crollare il proprio mondo, il proprio Dio, feriti, sanguinanti, sotto i colpi della barbarie nazionalsocialista.
Nato da ebrei ortodossi, a Sighet, in Romania, aveva quindici anni, quando, dopo l’annessione della città all’Ungheria, i nazisti deportarono gli ebrei ungheresi ad Auschwitz, uno dei più tristemente noti campi della morte, quello che, ancora oggi, a distanza di due, tre generazioni, evoca spettri e tormenti. La madre, ed una delle tre sorelle, vennero immediatamente “selezionate”, spedite nella camera a gas: Elie fu costretto a lavorare presso il complesso chimico di Buna Werke, nel sotto campo di Auschwitz III- Monowitz, poi trasferito a Buchenwald.
Wiesel ha all’attivo ben quaranta opere, ma questa, “La notte”, è certamente la più nota: viene in mente, quasi subito, quel sonno della ragione generante mostri, quello che colse l’Europa, sotto il sonnifero di demagogia e violenza somministrato da Hitler e seguaci. La sua testimonianza è singolare, differenziata, unica, seppur intrisa di rabbia, rassegnazione, disperazione, come tante. Una delle poche dalle quali sembrano riemergere, intatti, gli occhi spalancati dei cadaveri, lo spegnersi delle più elementari emozioni umane, soppiantate da una stremata lotta per la sopravvivenza.
La notte, nato dall’incontro di Wiesel con François Mauriac, ripercorre, in maniera intensa, quel periodo determinante della vita dello scrittore, dalla vita nel ghetto, nutrito di Talmud, desideroso di essere iniziato alla Cabala, il cuore pronto a consacrasi all’Eterno, al passaggio nella palude dell’umanità, descritta per flash, momenti di puro orrore e vuoto esistenziale, fino alla drammatica liberazione, accompagnata, purtroppo, dalla morte del genitore, con lui nel campi, che tutto di sé aveva dato, pur di sopravvivere nel baratro dell’inferno. Leggendo le pagine di questo diario nero, cupo, disperato e allibito allo stesso tempo, assistiamo alla metamorfosi più atroce: dal ragazzino innocente, ignaro, emergerà infatti, a poco a poco, l’adulto scettico, tormentato, dubbioso, che finirà per fare terra bruciata attorno al suo cuore, vivendo una personale morte di Dio, di fronte alla scoperta del male assoluto.
Lo sguardo di Wiesel, nel raccontare quanto vissuto, è freddo, stremato, l’espressione del volto congelata su quella che dovette avere al momento della liberazione, scavata, allo stremo delle forze. Un testo affatto consolatorio, per nulla conciliatore, che denuncia, intatto nel tempo, l’atroce oblio della ragione durante gli anni della seconda guerra mondiale. Non c’è perdono, comprensione: solo tutta il dolore di chi ha visto, impotente, la propria famiglia, la propria gente, venire ingoiata nella gola di un mostro feroce ed ingordo.
Un testo da cui prendere appunti. Per il futuro, per tutti.
Elie Wiesel, La notte
Firenze, Giuntina, 1980, pp.112, 10 euro