Amori in (Con)corso
Adela vive in un paese vicino a León e si occupa da sola del figlio, il piccolo Miguel. Da tempo coltiva il sogno di cambiare vita e trasferirsi a Madrid, finchè trova una camera in affitto nell’appartamento di Inés e Carlos e un lavoro nella capitale con cui mantenere se stessa e il bambino.
Le giornate trascorrono serene per Adela e Miguel, all’insegna di normali occupazioni e di una nuova amicizia con i coinquilini, che ne diventano una specie di famiglia, finchè un attentato terroristico sull’autobus in cui viaggiano non sconvolge il ritrovato equilibrio della donna e la costringe a ricominciare da capo.
Parallelamente si seguono le vicende di Inés, delle sue sorelle, Helena e Nieves, e della madre Antonia, che si ritrovano spesso tutte insieme oppure a coppie a discutere di varie ed eventuali quotidianità: spese, soldi, caratteri ed egoismi delle assenti o delle presenti, l’importanza della bellezza nella vita.
La forza del film sta proprio nell’idea di mostrare frammenti di vita della Spagna di oggi, lontano dagli stereotipi o dalle atmosfere coloratissime e surreali dei film di Almodovar: nulla è sopra le righe, sembra un’altra Spagna questa, dove si fatica ad arrivare a fine mese, si ragiona di soldi e precariato, e i parenti sono banalmente serpenti senza le tinte forti in cui lo spettatore stenterebbe a riconoscersi.
Il filo conduttore è la solitudine dell’essere umano, declinata in tutte le salse possibili, dalla piccola solitudine che accompagna le giornate sempre uguali di Adela, in cui ognuno può ritrovare la banalità del suo quotidiano, a quella grande dopo una perdita che invade il corpo e annebbia la mente.
Il titolo inglese – Solitary fragments – è particolarmente felice per la pellicola presentata a Cannes nel 2007, che in patria ha fatto incetta di premi (tra cui il prestigioso Goya) ed è proiettata in anteprima italiana a Verona in concorso per Schermi d’amore 2008.
Risultano tuttavia discutibili alcune scelte stilistiche del regista Jaime Rosales (Les heures du jour), che la stessa interprete Sonia Almarcha (Adela) paragona ad Antonioni per la sua gestione dello spazio: sceglie la macchina da presa fissa e spesso divide lo schermo in due metà dove è possibile seguire il concatenarsi dell’azione.
Il tutto produce sullo spettatore la sensazione di un grande fratello con un occhio fisso che osserva personaggi che appaiono e scompaiono, compiono gesti in tempo reale, dall’affettare un pomodoro al rifare il letto, e intanto parlano tra loro con un registro più da real life che cinematografico; l’idea di base è originale, ma spesso al regista scappa la mano e chi guarda perde il senso delle lunghe inquadrature che seguono l’attrice mentre passa e ripassa il ferro da stiro, o si prepara una insalata.
Ottima l’interpretazione di tutti gli attori poco noti in Italia, a cominciare dalla protagonista Sonia Almarcha.
Sceneggiatura: Jaime Rosales, Enric Rufas
Interpreti: Sonia Almarcha (Adela), Miriam Correa (Ines), Petra Martinez (Antonia), Lluis Villanueva (Carlos)
Fotografia: (colore): Oscar Duran
Durata: 130’Produttore: Jaime Rosales, Jose Maria Morales, Ricard Figueras
Produzione: Films, Wanda Vision S.A.
Distribuzione: The Match Factory