Lamìa è tratto dal racconto “Io sono la selvatichezza” dal volume “Le incurabili” della scrittrice palermitana Luisa Stella (edizioni Cronopio). La storia racconta di una donna, Caterina (Licia Maglietta), che ad un tavolo di una taverna, confida, in una forma tra il monologo e il dialogo, la sua vita ad un’altra donna. Si tratta di un prostituta, a cui la stessa Caterina darà il soprannome di Lamìa.
Due donne completamente diverse siedono ad un tavolo. Diverse perché la vita ha relegato su antitetiche posizioni. Distinta l’una nel suo tailleur nero, dimessa l’altra con in dosso un prendisole giallo canarino che mette in evidenza il seno appesantito dall’età. Si incontrano per un confronto: Caterina (Licia Maglietta) e’ una donna borghese, elegante e colta, che pero’ nasconde, da sempre, un inferno di domande e sentimenti irrisolti. Lamìa (Lucia Ragni) e’ una prostituta, non bella né giovane, scevra da emozioni di qualsiasi natura. Il carattere della donna incuriosisce Caterina, che decide di incontrarla in un ristorante. Lamìa accoglie la confessione con indifferenza, rispondendole solo con il silenzio.
Il tempo del racconto, inserito in una partitura di gesti e immagini, e’ scandito dall’andirivieni di una cameriera (Katia Esposito) e dalle pietanze cucinate in scena dal cuoco (Tony Luise). “In Lamia – dichiara Licia Maglietta – mi è apparso un mondo fatto di contrasti e di rapporti complementari. Caterina parla, Lamìa ascolta (forse) e mangia ma un ulteriore senso delle parole si rivela attraverso i loro movimenti al tavolo e sotto il tavolo, nelle azioni dell’oste e della cameriera, nei corpi, nel rapporto con il cibo e con gli odori. Tutto questo torna a rivivere nella parola. I quattro personaggi si raccontano contemporaneamente, attori e non attori, e il tempo di cottura dei piatti serviti a tavola è stato il nostro metronomo”.
La scenografia dello spettacolo è scarna, estremamente vivace e delicatamente kitsch. Le interazioni tra i personaggi sono ridotte all’osso. Non c’e spettacolarità, niente è al posto di qualcos’altro: l’oste cucina realmente, riempiendo le narici di odori familiari, Lamìa mangia spaghetti al pomodoro e cotoletta alla milanese. Il reale scavalca continuamente l’astratto rendendo lo spettatore quasi una comparsa silenziosa che potrebbe ascoltare da un tavolo vicino. Si viene calati in uno spazio dell’ascolto dove il significato di ogni singola parola non viene alterato né disturbato dall’azione ed il gioco attoriale diventa leggero ed incantevole.
Lamìa è portavoce di una spaccatura umana tra quello che si è e quello che si vuole essere. In qualche modo sia l’una che l’altra si prostituiscono: Caterina lo fa plasmando la propria natura per aderire allo status borghese e Lamìa, la prostituta la fa per mestiere ed ha ovattato la sua anima dietro l’indifferenza. Lamìa emoziona passando attraverso il tragico ed il comico ma senza scadere nella banalità del facile, tutto il paradosso della scena è talmente reale che non può fare altro che fare riflettere.
Nella triplice veste di regista, ideatrice della scenografia ed interprete, Licia Maglietta dice ancora: “Lamìa, al di là del fascino per i due personaggi – a mio avviso molto più complessi del loro appartenere ad una piccola porzione di mondo che per abitudini sociali difficilmente li immagina vicini e dialoganti – mi ha dato molte possibilità nel lavoro di composizione, di rapporti nello spazio e di rapporti intimi tra i personaggi. Equilibri che a teatro puoi trovare e perdere ad ogni passo e che in questo lavoro sentivo ancora più sottili e difficili”.
Teatri Uniti in collaborazione con Orestiadi di Ghibellina;
LAMIA
di Luisa Stella, da Le Incurabili, edizioni Cronopio
adattamento, scene e regia di Licia Maglietta;
con: Licia Maglietta (Caterina); Lucia Ragni (Lamìa); Katia Esposito (cameriera); Tony Luise (cuoco);
costumi Katia Esposito; luci Pasquale Mari; suono Daghi Rondanini; direzione tecnica Lello Becchimanzi