LIGABUE AL TEATRO ROSSETTI DI TRIESTE

L’ultima fermata è acustica

Dopo club, palasport e stadi, il ”Nome e cognome tour” di Ligabue giunge in autunno al capitolo finale: i teatri ne ospitano la quarta e ultima parte, contorno ideale di uno spettacolo caldo e intimo. All’accogliente Teatro Rossetti, tappa obbligata di questo rinnovato “Giro d’Italia”, non mancano momenti di rock e poesia, toccando tutto quello che rappresenta oggi per i suoi fan.

Da poco uscito anche nelle librerie con una raccolta di poesie, Lettere d’amore nel frigo, Ligabue è ormai noto per la sua voglia di cimentarsi con nuove dimensioni artistiche: questo bisogno di esprimersi in maniere diverse lo portò nel 2003 ad un inedito tour nei teatri, immortalato poi in un triplo album live. Oggi, il cantautore ripropone quella situazione con qualche cambiamento, innanzitutto di line-up: ad accompagnarlo mancano una chitarra e il supporto dell’elettronica, quasi ad annunciare una voglia di essenzialità e di “presa diretta” condivisa anche dall’ultimo album Nome e Cognome.

Dopo il caloroso applauso del pubblico, l’arpeggio di Metti in circolo il tuo amore apre in maniera dolce e intima l’esibizione di Ligabue, che comincia, solo con la sua chitarra, a scaldare i presenti, provati dal primo freddo. E dopo un’inattesa Figlio d’un cane, il rocker dà loro il benestare per qualunque cosa vogliano fare… atti vandalici verso il teatro e il cantente a parte, si intende. Il palco va riempiendosi dei musicisti che accompagnano Liga: dalla Banda, Robby Pellati alla batteria, Antonio Righetti al basso e il tastierista nuovo entrato Josè Fiorilli; manca il bel Poggipollini, ma alla chitarra basta l’abile Mel Previte, chitarrista certo più adatto alla dimensione teatrale; dulcis in fundo, il celebre polistrumentista Mauro Pagani, ex Premiata Forneria Marconi. Ligabue rilegge in chiave acustica brani fondamentali della sua carriera, da Non è tempo per noi a Hai un momento, Dio?, e pesca anche alcune perle poco note ai più, come la stupenda Walter il mago, suonata in modo impeccabile. C’è spazio anche per tutti i singoli dell’ultimo album, compresa Il giorno dei giorni, eseguita con piglio quasi country. Tra i riarrangiamenti più innovativi rispetto alle versioni originali, la rock I ragazzi sono in giro e Ho perso le parole: stravolta nella ritmica e impreziosita dal flauto traverso di Pagani, questa è uno degli episodi più riusciti delle due ore abbondanti di concerto. Proprio Pagani rappresenta, in un contesto soft come quello teatrale, più di un elemento di accompagnamento, dando un grande contributo di classe ed eleganza agli arrangiamenti efficacemente soft di Ligabue e compagni. L’artista emiliano intervalla lotti di canzoni a poesie dalla recente raccolta, abbondantemente applaudite dal caldo pubblico. Questo non è certo abituato a sedere su strette poltrone: canta, batte e agita le mani ed assiste all’ultima parte del concerto in piedi: i bis sono l’ultimo singolo Cosa vuoi che sia, Urlando contro il cielo, Tra palco e realtà.

L’ultima, autunnale costola del lungo tour di Luciano Ligabue è una perla per i fan: non più folle oceaniche da stadio o da Campovolo, nemmeno “botte” da club e palasport, ma luci soffuse e carezze acustiche: la musica del cantautore emiliano è anche questo, e la rilettura soft dei brani della sua ormai lunga carriera non fa che aggiungere loro un nuovo, intimo significato. Arrivederci alla prossima puntata, ondata rock o chissà quale trovata: troverà pochi ostacoli nel cuore di chi lo ascolta.

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