La Spagna degli anni ’40 è duramente segnata dal dittatore Francisco Franco e dalla sua politica autoritaria: ogni libertà di pensiero e di parola è severamente negata e i dissidenti sono accanitamente ricercati.
Elena vive con particolare angoscia la situazione politica del suo Paese perché il marito Ricardo è un antifascista ricercato dalle milizie di Franco e la figlia maggiore, Elenita, si appresta ad espatriare con il suo compagno, anch’esso nelle mire della polizia a causa di scritti fortemente anticlericali.
Il figlio più piccolo della coppia, Lorenzo, studia in un collegio religioso e vive quindi a stretto contatto con i più irriducibili sostenitori della realtà fascista. Il giovane maestro di Lorenzo si chiama Salvador ed è un diacono che ha combattuto nelle truppe di Franco prima di dedicare la proprio vita interamente a Dio.
L’incontro con Elena scuote intimamente il maestro che, ossessionato dai fianchi e dalle involontarie movenze della donna, rimane nuovamente turbato dalla Lussuria e dai vizi assaporati sotto le armi.
Il morboso interesse del diacono si consolida grazie a molteplici fraintendimenti e mette a dura prova sia la copertura di Ricardo che tranquillità di tutta la famiglia.
Elena è una donna e una madre molto forte e grazie al suo energico temperamento la famiglia riesce lentamente a sopravvivere alle insidie del franchismo.
La protagonista è costretta a vivere lontana dalla sua primogenita Elenita, fuggita incinta con il fidanzato verso il Portogallo, e con il marito barricato dentro una stanzetta nascosta.
Il suo secondo figlio Lorenzo, un bambino di sette anni particolarmente sveglio, frequenta con successo il collegio del paese e riesce a nascondere con efficacia i segreti riguardanti la clandestinità dei suoi famigliari.
Durante il saluto in lode al dittatore Franco che precede l’ingresso nella scuola, il maestro Salvador scorge la madre di Lorenzo e ne rimane profondamente attratto. La stressante esistenza di Elena viene quindi ulteriormente esasperata dall’insegnante, che inizialmente si mostra soltanto interessato all’istruzione del bambino promettendo di provvedere personalmente alla sua futura carriera scolastica.
L’animo del diacono è però in preda all’inquietudine e il lascivo ricordo delle esperienze passate prima di dedicarsi alla vita religiosa frustra ulteriormente l’ex militare franchista.
La tentazione carnale che assale Salvador incenerisce rapidamente gli obblighi morali propri della dedizione clericale, inducendolo ad abbandonare l’abito e ad osare nei confronti di Elena.
L’opera del regista spagnolo José Luis Cuerda è stilisticamente ammirevole e sorprende per la stucchevole contestualizzazione storico-politica degli avvenimenti.
Il regista fornisce un quadro drammaticamente lucido del clima di terrore attraverso la presentazione delle limitate possibilità di sopravvivenza che restano a chi non si arrende al fascismo.
La giovane Elenita e il suo compagno Lalo sono obbligati a spostarsi nel vicino Portogallo per evitare di essere catturati e uccisi; nonostante le condizione di salute estreme di Elenita, ai due innamorati non resta infatti che partire verso il confine con la speranza di non incontrare sulla propria strada i militari.
L’attenzione nel rappresentare la dilagante propaganda fascista è altrettanto interessante: il rituale canto intonato prima dell’inizio delle lezioni esemplifica perfettamente come il messaggio di regime arrivi a tutta la popolazione e perfino ai bambini, che molto probabilmente ignorano quale truce ideale si celi dietro al grido celebrativo “Viva Franco! Viva la Spagna!”.
Il personaggio del maestro Salvador permette inoltre una riflessione su uno dei cardini della Spagna targata Francisco Franco. Come spesso viene ripetuto nel film, i fondamenti del pensiero franchista sono due: la patria, per la quale bisogna combattere a costo della morte, e la cattolicità, grazie alla quale è possibile ritrovare il valore dell’uomo ed una forma di beatifica redenzione.
L’opera non presenta il fattore religioso con neutralità ma dipinge il clima cattolico come un’entità laida e impura, che abusa del perdono come giustificazione alle infamie compiute. Salvador non è un semplice peccatore ma un uomo facile alla tentazione carnale e alla perversione; nonostante questa disarmante negatività, il direttore dell’istituto non ammonisce il suo ex dipendente ma lo esorta invece a non accantonare l’ipotesi della carriera ecclesiastica.
L’impegnativo contenuto de Los girasoles ciegos è esaltato dalle scelte registiche di Cuerda e dalla nitida ed essenziale fotografia. La costruzione dialogica è lodevolmente congegnata e capace di rimanere incredibilmente in bilico fra una connotazione tragica ed uno stile addirittura comico, risultato del carattere grottesco di alcuni discussioni. Questa peculiarità strutturale concede allo spettatore qualche pacato sorriso nonostante l’essenza irrimediabilmente drammatica dell’opera.
La splendida attrice nel ruolo di Elena riesce a commuovere per l’ostinazione con la quale affronta ogni difficoltà, straziando infine l’animo del pubblico con l’ultima espressione di incontenibile dolore che si impossessa del suo volto.
Los girasoles ciegos
Regia: José Luis Cuerda
Sceneggiatura: Rafael Azcona e José Luis CuerdaSoggetto: Alberto Méndez
Cast: Maribel Verdú, Javier Cámara, Raúl Arévalo, Fany de Castro, José Ángel Egido, Irene Escolar, David Janer, Carmen Losa, Xosé Manuel Olveira ‘Pico’, Laura Ponte.
Durata: 98 minuti.