“La Ciociara” di Annibale Ruccello

Un'evoluzione visiva

Romanzo post bellico in origine. Grande successo cinematografico negli anni ’60. Oggi a teatro. Il fascino di “La Ciociara” è senza tempo.

Nata della biro di Alberto Moravia nel 1957, la vicenda entra nel cuore degli italiani approdando, qualche anno più tardi, nelle sale . L’omonima pellicola di Vittorio De Sica, fondamentale per la corrente neorealista, varrà all’allora ventiseienne Sofia Loren addirittura l’ Oscar.
Con la trasposizione teatrale del commediografo Annibale Rucello nel 1985 può tradursi anche in pièce.

Il testo dell’autore partenopeo, guarda avanti. Inizia proprio dove il film si era concluso. Le due protagoniste, schiave del denaro e delle apparenze, vivono un presente frivolo. Ma giungono presto a far loro visita i fantasmi di un passato troppo a lungo soffocato. Sul palco lo sfumato ricordo dell’epopea vissuta dalle sfollate, rivive in un lungo flashback. Madre e figlia, sole, contro una guerra cieca. In fuga da una capitale assediata dai bombardamenti. Sommerse dalla povertà, dalla miseria e dalla violenza, in balìa del proprio destino.

La drammaturgia, dimenticata negli anni, trova oggi, un’espressione compiuta. Non a caso è una donna, unica proposta nella Stagione di Prosa dello Stabile del Veneto declinata al femminile, a darle voce: Roberta Torre.

L’esperta regista cinematografica, reduce con “I baci mai dati” dalla “67.ma Mostra del Cinema di Venezia” a dal “Sundance Film Festival”, si misura con la direzione teatrale.

La volontà di creare un legame tra i due principali poli artistici dello spettacolo, che ha caratterizzato la sua formazione, emerge con forza dall’allestimento che concepisce. In scena gli attori si muovono inconsistenti, immersi in un’atmosfera plumbea ottenuta sfruttando un espediente ottocentesco. Un “trasparente”, in gergo tecnico, che separa virtualmente la platea dalla scena creando l’illusione di una fruibilità altra, quasi cinematografica. Filtro immaginario tra realtà e finzione, il supporto diviene uno schermo su cui proiettare immagini oniriche e sospese (curate dalla stessa Torre).

Una proposta ibrida che rompe canoni classici e schemi tradizionali, proiettandosi nel XXI secolo. E allo stesso tempo evoca quel VideoTeatro, della Postavanguardia, che indagava un possibile dialogo tra fiction umana e tecnologica.
Le incisive scelte registiche, vanno però a discapito dell’analisi emotiva che rimane troppo in superficie. L’azione è debole, ritagliata per sommi capi e non emana la carica e il pathos che sono i potenziali punti di forza dell’ intreccio.

La Cesira di Donatella Finocchiaro è troppo costruita e poco credibile. La determinazione e la sensualità ciociare, peculiari del personaggio, sono appena abbozzate. Anche Rosetta, la giovane Martina Galletta, rimane su “toni di grigio” senza osare una caratterizzazione più partecipe.

L’entusiasmo per le suggestioni visive proposte dalla regista, non riesce ad estirpare la sensazione che manchi qualcosa. Un retro gusto amaro che purtroppo finisce per condizionare il giudizio sull’ intera opera.
Una nuova strada è stata imboccata con coraggio ma è necessario continuare a scavare per andare più a fondo.

Teatro Bellini Fondazione Teatro di Napoli
“LA CIOCIARA”
di Annibale Ruccello – Tratto dal romanzo omonimo di Alberto Moravia
Scene e Regia: Roberta Torre – Costumi: Mariano Tufano – Musiche: Massimiliano Pace
Con: Donatella Finocchiaro, Martina Galletta, Daniele Russo, Lorenzo Acquaviva, Dalia Frediani, Rocco Capraro, Rino Di Martino, Marcello Romolo, Liborio Natali
Durata 1 ora e 45 minuti (senza intervallo)