Tre mesi fa è uscito Grande Nazione, il primo album dei Litfiba dopo la reunion del 2009. Il disco, seppur accolto con grandissimo entusiasmo dagli aficionados, ha suscitato dubbi nei fan che non hanno ritrovato nelle 10 tracce la potenza e l’autenticità che erano le caratteristiche principali del gruppo nei loro anni d’oro.
Ma la schiera di fan che ha dato fiducia ai controversi Piero & co., ha perso ogni scetticismo man mano che la performance si faceva più infuocata, e la scelta della scaletta è riuscita a convincere anche i più combattuti.
La festa imminente è percepibile nell’aria, fuori dal palazzetto. Si scorgono persone di ogni età trepidanti in attesa di entrare, le immancabili magliette esposte nelle bancarelle di merchandising e i chioschi ambulanti che emanano il profumo tipico delle sagre: profumo di vita on the road.
L’interno è nebbioso, il parterre un po’ alla volta si riempie e l’attesa si fa tangibile..E puntuale (più o meno), inizia lo show.
La canzone di apertura è Squalo, primo singolo del nuovo album. Difficile ritrovarvi lo spessore dei pezzi forti che costellano la scaletta (Dimmi il nome, Cangaceiro, Tex per citarne alcuni), ma è una scintilla sufficiente ad accendere il pubblico, che si scatena da subito in un coro esplosivo.
I Litfiba hanno messo in piedi una scaletta di più di due ore con sapiente precisione: la prima parte riservata alle canzoni dell’ultimo album, con qualche accenno al passato e un regalo ben gradito, a veterani e non, con l’esecuzione di La Preda, brano scritto trent’anni fa. Ma nella seconda parte la band ha dato libero sfogo all’irriverenza del passato con le travolgenti Gioconda e Proibito, che hanno trasformato il pubblico in un’onda di energia pura. Stranamente più tiepida ma comunque coinvolgente l’accoglienza a El Diablo. Ma anche canzoni più “calme” come Fata Morgana e Lulù e Marlene hanno trovato posto, rendendo magica l’atmosfera dell’infuocato palazzetto, fino alla canzone di chiusura, Ritmo.
Ineccepibile la performance del gruppo: Piero Pelù, che all’inizio della carriera si definiva un mero urlatore, sfodera ora, a distanza di trent’anni, una voce malleabile, calda ed energica, e lui stesso è un trascinatore di folle, instancabile nel cantare, nel saltare e nello scuotere le coscienze. Facendo ancora dei Litfiba, pur nelle loro contraddizioni, un’icona del rock italiano.