Il tour che vede impegnati i RdP nel loro nuovo spettacolo “La Pankina”, dopo il 2008, continua anche quest’anno a Padova, Napoli e Altamura
C’era una volta un tossico che chiedeva l’elemosina per gettarsi nelle braccia di un’altra madre, l’eroina, “mater tenebra sum” e una puttana pronta a vendersi nell’angoscia delle sue solitudini. C’era uno spazzino intollerante, un barbone attaccato al collo della bottiglia e una ragazza giovane col viso segnato da rughe mature. Drogati, emancipati, “mal” accetti dalla società; nel nuovo spettacolo di Pino Roveredo crollano gli stereotipi comuni del sieropositivo, del bisognoso e dal seme illuminato del palcoscenico nascono semplicemente persone.
“La Pankina” germoglia in Via Montereale a Pordenone, proprio di fronte all’Ospedale Civile, quando un gruppo di ragazzi nei primi anni ’90 la identifica come luogo di incontro, aggregazione e abbattimento del dolore in nome del piacere passeggero di una serata alcolemica, di una giornata eroinomane e poi di una vita di lotte e stenti. Dopo anni di rivendicazioni, proteste dei cittadini, pomeriggi di discussione trascorsi dai giovani nelle stanze del Sert, si giunse nel 1999, alla creazione dell’Associazione Onlus “I Ragazzi della Pankina”, che ben presto ottenne una sede in centro città patrocinata dal Comune. Da qui si è voluto creare uno spettacolo che raccontasse della vicenda. Lo ha fatto la penna insidiosa e pungente dello scrittore triestino, e la sua Compagnia Instabile di RdP, portando per l’Italia, i vissuti e i sopravvissuti di questo piccolo grande popolo suburbano, la loro lunga storia fatta semplicemente di uomini. «Il teatro è stato uno strumento – racconta Roveredo – per far crescere il gruppo e dimostrare che con la cultura si può acquisire e condividere benessere, con risultati a volte straordinari. E ci ha anche permesso di superare le iniziali diffidenze
della città».
Lo spettacolo non è un big show dimostrativo del massiccio lavoro attoriale che può stare alle spalle di un progetto di teatro sociale. Gli attori, infatti, diretti dalla sceneggiatura di Roveredo, che ne cura inoltre la regia, spesso sono protagonisti della loro storia, senza badare alla perfezione di una tecnica, all’utilizzo corretto della voce, alla sincronia di movimenti pre-designati. «Non sveleremo neppure sotto tortura chi sono gli attori che interpretano loro stessi – continua lo scrittore – perché se c’è una cosa che questa vicenda ci ha insegnato è che i marchi vanno superati, e che i ragazzi possono lavorare e crescere insieme, sia che abbiano dei problemi o che non ne abbiano. Perché ne “La Pankina” si raccontano cose che possono succedere a tutti, cose che si possono affrontare meglio se si conosce la disgrazia e si rispetta la sofferenza degli altri. E poi la panchina di Pordenone è una delle tante panchine d’Italia». La semplicità delle scene si rivela secondo il succedersi di diversi quadri narrativi volti a riassumere gli episodi dei dieci personaggi e sono cuciti tra loro dal ritornello di alcune tra le più belle canzoni di De Andrè. «Il Fabrizio quinto profeta – sottolinea il regista – come lo intende don Gallo, per la sua capacità di comunicare, ai giovani come agli anziani, la realtà del disagio, ma insieme anche la speranza: perché se c’è una cosa che è bandita da questo lavoro, è il piangersi addosso, la cultura del lamento. In quello che facciamo c’è anzi una buona dose di ironia, che aiuta a comunicare meglio con la gente. E la ragazza che canta le sue canzoni, da “Via del campo” a “La guerra di Piero” a “Una storia sbagliata”, lo fa con la sola voce, senza musica, perché le sue parole parlano da sole».
Anche i costumi, seppur scelti con cura, non svelano il taglio da sartoria e la curiosa scenografia è fabbricata dagli stessi ragazzi. Ciò nonostante si tratta di un lavoro completo, energico, amplificato dalle dolci musiche eseguite dal vivo, e dal significato profondo che si vuole comunicare: l’identità di scoprirsi persone. Persone con un’anima, (uguaglianza che contraddistingue ogni popolo), e che dopo aver esaurito il diritto ad essere tali diventano madri, figli, alcolizzati senza dimora, attori che inpersonificano loro stessi e scrittori che narrano la verità di una vita di cadute e salite. «Alcuni di questi ragazzi non ci sono più – dice Roveredo – ma molti ce l’hanno fatta, si sono reinseriti nella società. E se c’è qualcuno di loro che una volta ci ricasca, c’è il gruppo ad aiutarlo a riprendere in mano la sua vita. Qui non si abbandona nessuno. Io sono molto grato a tutti loro, perché mi hanno permesso di ritornare sulla strada dopo la vittoria al Campiello, ed è stata un’esperienza entusiasmante».
La pankina di Pino Roveredo
con: Gigliola Bagatin, Mina Carfora, Giulia Carli, Gino Dain, Mario Grasso, Guerrino Faggiani, Arianna Marangoni, Massimiliano Piccinini, Andrea Picco, Bernardon’Toto
Musiche di Diego Todesco, eseguite dal vivo da Diego Todesco, Francesco Rossi, Christian Cecchetto, Luca Marian
Scenografia di Matteo Innocente e Giovanna Orefice – Regia di Pino Roveredo