Un gruppo di ragazzi della periferia di Parigi prepara lo spettacolo di fine anno scolastico, “Il gioco dell’amore e del caso” di Marivaux.
Sconosciuto ai piu’, il regista tunisino Abdellatif Kechice è in concorso alla ventiduesima edizione del Festival di Torino. Intorno alla metà degli anni Ottanta si fa conoscere recitando per autori come André Techiné. Nel Duemila esordisce alla regia con “Tutta colpa di Voltaire” che riceve il premio per la miglior opera prima a Venezia.
Questo suo ultimo lavoro, “La schivata”, deve essere letto come un invito a condividere fino in fondo la vita di un gruppo di adolescenti parigini. Eccezionale, infatti, come questi ragazzi vengano rappresentati all’interno del film. Riescono a sfuggire a qualsiasi categoria o tentativo di farli rientrare forzatamente dentro un sistema precostituito. Il regista rivendica ad alta voce il loro diritto ad avere una vita normale, fuori dai cliché offensivi che li presentano come vittime o delinquenti.
“La pellicola – dice il regista – si puo’ considerare come una richiesta del diritto ad una corretta rappresentazione delle cose”. Questo concetto emerge, in particolare, quando l’insegnante si relaziona con il ragazzo che ricopre la parte di Arlecchino nello spettacolo. “Esci dal tuo linguaggio, dai tuoi gesti”, suggerisce l’insegnante a Krimo, che non riesce a entrare nei panni del suo personaggio. “Esci da te stesso e va’ verso un altro linguaggio, verso altri gesti, verso un altro mondo”. E’ lei a ricordare piu’ di una volta al ragazzo di divertirsi nel momento stesso in cui deve interpretare la sua parte. Rappresentare correttamente un ruolo significa – forse – lasciarsi andare, abbattere i blocchi sociali ed emotivi che impediscono di raggiungere una fetta della realtà o piu’ semplicemente una maggiore conoscenza di sé. Questa esperienza di spaesamento è anche quella che il film propone a noi spettatori, invitandoci a condividere la vita degli adolescenti di periferia: il loro gergo, il loro sistema di valori, il loro immaginario.
Numerosi i momenti comici. Le confessioni sentimentali di questi quindicenni, le loro infinite discussioni e gli imbarazzanti corteggiamenti sono uno degli elementi per cui varrebbe la pena vedere il film. Il gergo utilizzato è un altro sputo di ilarità . In piu’ di una scena i ragazzi arrivano a fare giuramenti non sulla propria madre – come si penserebbe – bensi’ sulla loro razza o sul Corano, rivendicando implicitamente la loro appartenenza ad una sfera di valori che non percepiscono come lontana o dimenticata. Questi ragazzi non parlano ma vomitano fiumi di parole, travolgendo le pause, completamente fagocitate da intercalari, esclamazioni, imprecazioni.
Sceneggiatura: Abdellatif Kechiche
Fotografia: Lubomir Bakchev
Montaggio: Ghalya Lacroix, Antonella Bevenja
Interpreti: Osman Elkharraz, Sara Forestier, Sabrina Ouazani, Nanou Benahmou, Hafet Ben-Ahmed, Aurélie Ganito, Carole Franck
Produzione: Lola Films, Noé Productions
Distribuzione: Mikado
Francia 2003 – colore 117’