Come molti film d’autore o d’impegno degli ultimi anni, anche il Leone d’Oro dell’ultima Mostra del Cinema di Venezia ha come tema centrale la guerra, per di più raccontata da un regista, Samuel Maoz, che a 20 anni fece la guerra del Libano in un carro armato uccidendo un uomo.
_ Da quella traumatica esperienza, da cui si è ripreso completamente solo grazie alla scrittura di questo film, Maoz ha deciso di raccontare in un modo insolito, abbracciando completamente il punto di vista dei soldati che per giorni stanno rinchiusi dentro i tank israeliani; ne esce fuori un film tanto curioso esteticamente quanto forte concettualmente.
Assi, Herzl e Yigal sono i tre componenti dell’equipaggio di un carro armato che, nel giugno del ’82, in piena guerra contro il Libano, sono inviati a perlustrare una cittadina appena bombardata da soli: la missione si trasforma in un incubo. Scritto dal regista, un film bellico atipico, che mescola le crudezze di un film di genere con il lato simbolico, sfociante nell’onirico, che già aveva sperimentato Ari Folman in Valzer con Bashir.
Il film, raccontando la guerra non solo da un unico punto di vista, ma da un unico luogo, che si apre al mondo solo per mezzo di un periscopio e di una radio, racconta la parzialità e l’inadeguatezza dei nostri sensi a percepire qualcosa di enorme e aberrante come la guerra e allo stesso tempo fa una riflessione teorica sui media e sul loro modo di rapportarsi con le tragedie della storia, parlando anche del cinema (il periscopio, il ruolo del montaggio e della soggettiva) e dei mezzi d’informazione (la ricetrasmittente).
Può essere accusato, in un certo senso, di voyeurismo, ma è un modo per Maoz di mettere in scena quei residui di umanità – il voler vedere, il poter spiare la morte – che la guerra seppellisce e che l’autore realizza con qualche effetto (come il ralenti sul proiettile che viaggia verso il carro), ma che ha una coerenza e una tensione narrativa e ideologica rare, come dimostra il finale “liberatorio”, nel quale alla fine della guerra corrisponde l’unico esterno del film (un campo di girasoli).
La sceneggiatura deve fare i salti mortali per poter tenere tutta la narrazione, che a suo modo è piuttosto articolata, in un unico luogo, ma ci riesce anche perché la regia è praticamente perfetta nel giocare con i due organi principali del cinema, l’occhio e l’orecchio, facendo del montatore Arak Lahav-Leibovich un vero e proprio co-regista. Un tour de force, un’esperienza umana e cinematografica che coinvolge regista, spettatori e anche gli attori, costretti a immedesimarsi in persone probabilmente esistite attraverso una serie di restrizioni e disagi, come – non ultimo – la sporcizia immonda del tank, che finisce quasi per diventare metaforica. Un leone d’Oro di cui ci si può vantare.
Titolo originale: Levanon
Nazione: Israele
Anno: 2009
Genere: drammatico/azione
Durata: 92’
Regia: Samuel Maoz
Cast: Yoav Donat, Itay Tiran, Oshri Cohen