“Lo Sbarco in Normandia, i segreti di una vittoria”

Il mondo di oggi e il 6 giugno 1944

“Credo che il mondo in cui viviamo oggi, bello o brutto che sia, arrivi proprio da quel “lontano” 6 giugno 1944”

Dopo la presentazione padovana a Palazzo Zuckermann, la tappa dello spettacolo a Rivoli Veronese non è stata favorita dal tempo. Infatti lo spettacolo si sarebbe dovuto tenere in un’antica piazzetta che s’affaccia su un dirupo del piccolo borgo. Purtroppo i temporali della zona del Lago di Garda sono famosi per la loro intensità e violenza, che con una puntualità svizzera hanno dimostrato anche la sera del 26 luglio.

Questo determinante imprevisto ha gettato tutti gli organizzatori ed, ovviamente, il protagonista del monologo nel più totale sconforto, portandoli a decidere di spostare lo spettacolo all’interno della palestra del paese. Smontare e ricostruire tutta la scenografia, per quanto poco corposa, ha creato un palpabile nervosismo sopratutto in Albertin.
Ma si sa: “Non tutto il male vien per nuocere”.

Facendo appello alle parole di un insegnante, l’attore ha esplicitamente dichiarato che “per fare teatro, basta avere un attore, un palco ed una storia da raccontare”. Conscio del fatto che il pavimento di una palestra è ben lontano da rendere l’idea di un palcoscenico, Alessandro Albertin ha dimostrato di essere un grande attore con una grande storia da raccontare.
Quali requisiti deve possedere, a quale definizione deve rispondere un grande attore?
Confidando in un mondo dove i sentimenti e le emozioni siano più importanti e liberi dei caratteri stampati sui manuali, si può affermare che un uomo che riesce a ricreare l’atmosfera di guerra e i retroscena politici, internazionali che l’hanno manovrata, su un pavimento sommato, tra spalliere, canestri e luci d’impianti sportivi, sia davvero un grande attore. Se poi si vede che tutti, compresi bambini e adolescenti, sono coinvolti se ne ha un’ulteriore conferma.
Forse è questo che rende magici il teatro ed i suoi attori. Forse davvero si può prescindere dalla scenografia, dalle luci, dai costumi, all’insegna del “The show must go on”.

Lo spettacolo nasce da un’esperienza realmente vissuta dal protagonista, che durante il primo viaggio con la sua ragazza (Michela Ottolini, regista dello spettacolo), visita le spiagge dove avvenne il famoso sbarco.
Mentre Michela rimane in auto per via del freddo, Alessandro s’incammina e raggiunge Juno Beach, dove s’imbatte in un anziano signore che comincia a raccontargli di quelle tragiche vicende, conosciute ai più come D-DAY.

La storia presenta diversi personaggi che vanno dai soldati, ai generali, ai presidenti che manovrarono l’operazione che doveva essere considerata la più grande impresa (bellica) mai vista e che prese il nome di OVERLORD.
Il proposito di Albertin e di tutti coloro che hanno contribuito alla ricostruzione più veritiera possibile delle vicende, dei movimenti, delle decisioni è stato anche quello di evidenziare il ruolo di persone e stati generalmente lasciati in ombra, come Stalin e il Canada.

L’alto numero e la diversità dei personaggi (Churcill, Roosvelt, Hitler, ecc.) ha permesso all’attore di dar libero sfogo alla sua mimica facciale e alla versatilità della voce. Impressionante l’abilità di restituire in chiave ironica, ma credibile, le caratteristiche delle figure. Alcuni passi dei dialoghi sono il frutto di un’attenta documentazione e di uno spirito addirittura comico in certi punti, che niente comunque toglie all’attendibilità delle vicende storiche e che, anzi, crea un coinvolgimento che rende lo spettacolo degno d’essere fatto vedere nelle scuole, a supporto di (per quanto doverose) noiosissime lezioni.

Insomma, si può parlare di un Alessandro Albertin mattatore, che interagisce col pubblico e che con semplici cassette di legno ricostruisce le sembianze di tavoli dove si prendono decisioni politiche, di staccionate dove siedono a meditare soldati, di pendii da cui si lanciano guerriglieri.
Al di là dell’aspetto caricaturale della narrazione, sicuramente voluto per rendere più “digeribile” l’aspetto più nozionistico delle vicende, lo spettacolo è intriso di un pathos meditativo che nasconde un invito a non dimenticare e a prendere coscienza della storia da cui proveniamo. Non a caso Albertin scrive “spesso sul palco ho come la sensazione, parlando delle loro vite, di disturbare le loro anime, il loro passato, quello che hanno rappresentato….Io spero solo di onorare la loro memoria….Perchè credo che il mondo in cui viviamo oggi, bello o brutto che sia, arrivi proprio da quel “lontano” 6 giugno 1944”.