Yu è un liceale giapponese come tutti gli altri, escluso il fatto di essere orfano di madre e di avere un padre che è anche un prete cattolico. Il ragazzo è cresciuto in un ambiente religioso, talmente pio che la madre, in punto di morte, gli ha fatto promettere che la prima e unica donna con cui avrebbe avuto un rapporto sarebbe stata l’incarnazione della Vergine Maria.
Nel frattempo il padre, invasato nel fanatismo, confessa tutti i giorni Yu; il ragazzo, cresciuto buono e sereno, non ha nulla da confessare al padre e per non deluderlo prima prende e inventarsi di sana pianta dei peccati quindi decide che, per essere più veritiero, è necessario compierli seriamente. In poco tempo il ragazzo diventa una specie di ninja pervertito che con grande abilità acrobatica fotografa le mutandine delle ragazze per strada. Dutante uno dei suoi raid, vestito da donna e sotto lo pseudonimo di Sasori (Miss Scorpione) incontra finalmente la sua Maria. Si tratta di Yoko, eterea bellezza dal passato difficile che cova un grande astio nei confronti del genere maschile, fatta eccezione per Gesù e Kurt Cobain. Per non rendere le cose troppo semplici, la madre adottiva di Yoko seduce il padre di Yu rendendo i due ragazzi, di fatto, fratelli. A rovinare ulteriormente il traballante e piuttosto ipotetico idillio fra i due è Koike, crudele esponente di una setta giaponese in grande ascesa, la Chiesa Zero; Koike si guadagna la fiducia della famiglia di Yu e li converte alla sua causa, non lesinando una punta di sadismo nei confronti del protagonista. L’obiettivo per Yu è ora intraprendere una crociata per abbattere Koike e la Chiesa Zero e salvare l’amata Yoko.
Quanto sarebbe bello poter concludere la recensione aggiungendo alla breve sinossi esclusivamente la seguente frase: Sono Sion è un pazzo furioso. Questa frase omnicomprensiva sarebbe il sunto ideale della condizione poetica e artistica del regista giapponese. Sono Sion, attivo nell’ambito della poesia sperimentale sin dalla tenera età di 17 anni, esordisce dietro la macchina da presa nel 1990 con Bicycle Sighs; la sua carriera, da quel momento in poi, è un susseguirsi di film di culto assoluto che dapprima stregano una nicchia di pubblico giapponese via via sempre più ampia, quindi sbarcano all’estero spezzando molti cuori. Il passaggio cruciale del suo folle viaggio registico è, nel 2002, Suicide Circle (poi ribattezzato col titolo, divenuto notorio in tutto il mondo, Suicide Club), il cui potente e incredibile incipit è ancora negli occhi e nel cuore di molti appassionati di cinema. In quel caso Sono ha preso spunto da una statistica, quella del tasso di suicidi fra gli adolescenti giapponesi, per creare più che un film un’esperienza audiovisiva che è anche una delirante riflessione sul Giappone e sui giapponesi.
Con questo Love Exposure, assurdo e ipnotico viaggio cinematografico lungo 237 minuti, l’artista nipponico fa un ulteriore passo in avanti lasciando lo spettatore e il critico totalmente spiazzati. Il film, questa volta, trae le fila dalla recrudescenza religiosa che, a quanto pare, sta assillando il paese del Sol Levante oggidì. In Love Exposure tutti i personaggi, in un modo o nell’altro, sono dei fanatici, degli estremisti, ma al tempo stesso sembrano totalmente disinteressarsi al loro culto. A livello superficiale, e macchiettistico, i protagonisti soccombono sotto i colpi della religione; nel momento in cui il regista ci porta in profondità, però, cominciamo a capire come il loro prassi religiosa non sia una dinamica di fede, ma una questione di comodo. E allora la conclusione è, ancora una volta, che il singolo è governato da sè stesso, che nè la società nè i dogmi religiosi possono impedirmi di essere ciò che devo essere: pazzo, pervertito, lesbica, travestito, sadico, blasfemo o anche fondamentalista non importa. Tutto questo magma filmico è suddiviso in tre capitoli più un finale. A ogni capitolo è assegnato un tema musicale che funziona più come tappeto costante che come contrappunto significante; anche grazie a questa intuizione, oltre a una sceneggiatura ritmata e con poche pause, caratterizzata da un’accumulazione continua e che non distingue fra passato, presente e futuro, le quattro ore effettive di Love Exposure hanno una lunghezza soggettiva molto minore. Merito, anche, del costante interscambio di genere: Sono Sion, infatti, si dimostra capace di infarcire il suo lavoro di tutti i generi possibili (arrivando anche a citare il sotto sotto sotto genere del women in prison). La particolarità in questa pratica è che lo stile di regia tende a rimanere molto omogeneo, nonostante i ripetuti sbalzi tematici.
Abbandonando tutte le congetture possibili una cosa rimane oggettivamente non opinabile: un film come Love Exposure è decisamente unico e irripetibile.
Regia:
SONO Sion
Anno:
2009
Durata:
240′
Stato:
Japan