Il progetto Moonstone nasce dalle nostalgie e dalle ambizioni del chitarrista italiano Matt Filippini: con un album uscito ad aprile, il nostro è riuscito a far suonare insieme icone rock tra cui Ian Paice, Graham Bonnett, Steve Walsh, Glenn Hughes. Il leggendario cantante e bassista è l’ospite d’eccezione di una serie di live all’insegna dei 70.
“The Voice of Rock”: questo il soprannome di un artista, Glenn Hughes, che con Trapeze, Deep Purple e la sua carriera solista ha scritto pagine indelebili nella storia di un genere mai domo. Negli ultimi anni ha continuato a pubblicare album solisti o in collaborazione, tra cui si ricordano quelli con Joe Lynn Turner e Tony Iommi. In ordine temporale, la sua ultima apparizione da studio è nel progetto Moonstone di Matt Filippini, che oggi onora anche dal vivo.
“On the way to Moonstone” è il coro che apre l’esibizione di Filippini e compagni, pronti a scaldare il pubblico accorso con il loro granitico rock carico di richiami blues. Le canzoni del combo convincono, sorrette da una valida sezione ritmica e ben interpretate dalla potente voce del cantante Marco Sivo. Dopo una mezz’ora tirata e coinvolgente, questi saluta e lascia il posto all’acclamato Glenn. Gli accordi iniziali di Stormbringer, classico Deep Purple, scatenano i fan dell’inglese, che sono costretti però a raffreddarsi dopo pochi secondi: i problemi all’asta del microfono di Hughes, che lo costringono a saltare in toto il primo ritornello, sono il triste presagio di una prima parte del concerto piuttosto difficoltosa, che trascorre con pathos ma anche con numerosi problemi di suono sul palco e conseguenti tecnici a gironzolarci. Lo stesso Filippini, per sua stessa ammissione compositore prima che chitarrista, sembra a volte in difficoltà e poco valorizzato da un’acustica che tende a soffocare la brillantezza del suo strumento. La seconda parte dell’esibizione è un’altra storia, con i musicisti a proprio agio e Hughes nelle condizioni di esprimersi al meglio. Mistreated è la migliore dimostrazione di una voce che invecchiando migliora, e che ancora oggi, oltre quarant’anni dopo il suo esordio con i Trapeze, riesce ad emozionare: Soul Mover, come il brano tratto dal suo omonimo album che apre l’ovvio bis e che è cantato da tutti i presenti. L’inno Burn chiude infine un concerto riuscito a decollare dopo le difficoltà iniziali.
La stupenda Keep you moving, contenuta nel terzo e ultimo album inciso da Hughes con i Deep Purple, raccoglie, per il significato delle liriche e l’esecuzione culminata in uno strepitoso vocalizzo, l’essenza di un artista eccezionale, presto in uscita con un nuovo album, che non ha nessuna intenzione di smettere di emozionare.
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