MOTORPSYCHO – NEW AGE 12/05/06

Kill some day. A molti queste tre parole non diranno assolutamente nulla. Ma ad altri (compreso il sottoscritto) diranno tantissimo. Difficilmente, per chi ha già assistito ai loro concerti, si ha la possibilità di sentire qualcosa da “Timothy’s monster”, di gran lunga il loro miglior album (unica pecca di show lunghissimi ed impeccabili). Stavolta ne hanno fatte due, e la prima è stata KILL SOME DAY! Tale è stato lo stupore/gioia/agitazione appena le mie orecchie hanno riconosciuto l’ incipit minaccioso di basso e batteria. Queste sono le cose che trasformano un concerto bello in superlativo.

In giro dai primi anni 90 (si sono formati nell’89, prendendo il nome da un film di Russ Meyer, regista americano degli anni sessanta famoso per la procacità delle attrici che comparivano nelle sue pellicole), l’infaticabile duo di Trondheim continua a sfornare ottimi album a cadenza annuale.

Dall’inizio simil-grunge di “Lobotomizer” all’ultimo doppio “Black hole, blank canvas”, di acqua sotto i ponti ne è passata molta. Svolte stilistiche notevoli, cambi di line up, colonne sonore country, jazz e quant’altro, il tutto attraverso una quindicina di pubblicazioni di altissimo livello, non hanno potuto che far diventare questa band un piccolo caso nel circuito indie europeo.

Con un’ottima reputazione di live band, il duo Bent (basso) e Snah (chitarra), accompagnati dal nuovo, altissimo batterista e dallo xilofonista, gioca a fare un pò i Grateful dead. I brani partono secondo copione, col bassone-marchio-di-fabbrica in evidenza, per poi trasformarsi in jam sessions ai limiti dell’improvvisazione, il tutto all’insegna della psichedelia.

Questa formula si ripete per tutta la prima parte dello show, una mezza dozzina di pezzi per la durata di un’ora circa, tutta in apnea. Non fanno a tempo a finirne una che già cominciano la seguente. Ma, improvvisamente, ecco la luce: “Kill some day”. Eseguita in maniera startosferica, con tanto di outro. Il numeroso e fedele pubblico, testimone fino a quel momento di uno spettacolo più cerebrale che fisico, si scalda. Chi non ha bisogno di scaldarsi è il gruppo, che va alla grande e suona con un sorrisone stampato in faccia, quando le lunghe chiome ne consentono la visione. E allora via con Neverland, Hyenas e altri pezzi del repertorio più recente, tutte riconosciute dalla platea sin dai primi accordi.

Con una produzione così vasta e in totale assenza di hit, non si sa mai che aspettarsi dalla scaletta, che sarà sicuramente completamente diversa di sera in sera.
Al rientro dalla meritata pausa, i nostri si scatenano in un’altra cavalcata psichedelica di almeno una ventina di minuti (non male come bis…), per poi uscire e risalire sul palco, richiamati a forza di fischi ed urletti di approvazione. Ecco che arriva la conclusione con “I feel”, eseguita solo con basso e chitarra, in maniera delicatissima.

Degna conclusione di uno show che non fa altro che confermare quanto di buono si dice di loro. Questo si che è un gruppo serio! Lunga vita ai Motorpsycho