L’estate porta con sé il tempo libero, e il tempo libero ben speso porta con sé nuove scoperte. Tra queste il ripescaggio, complice un concerto al Marghera Village, di un disco freschissimo sebbene datato 2005: Music performed di Enri.
Romagnolo, al secolo Enrico Zavalloni, polistrumentista eccezionalmente dotato, Enri faceva parte di un gruppo di culto, i Vip200, il cui unico ed ormai introvabile album Psicoerotica fu pietra miliare dell’affermazione di un genere, ahinoi etichettato lounge, ormai sepolto e forse non a torto. Giusto per cominciare ad intuire la portata del fenomeno Vip200, basti sapere che Psicoerotica fu pubblicato come prima cosa per il lungimirante mercato giapponese, e venne distribuito in Europa sulla scia del successo orientale. Le esperienze musicali di Enri sono dunque di ampio respiro internazionale. Chiusa l’avventura dei Vip200, Zavalloni si concentra su una carriera (quasi) solista che gli permetta di suonare il suo strumento d’elezione, l’organo Hammond «come uno strumento qualsiasi. Come una chitarra per un chitarrista o la voce per un cantante, uso l’Hammond perchè penso di conoscerlo abbastanza bene… È uno strumento difficile, ha un suo mondo, lo devi saper prendere ma ha molte possibilità timbriche e mi permette di esprimere tante emozioni.»
Munito di Hammond, sintetizzatore, tastiera, moog e accompagnato alle percussioni da Luca «Zan» Torri (e, dal vivo, dalla sezione di fiati degli Hot Horns), Enri dà vita in Music performed ad un universo sonoro ricco di suggestioni provenienti dagli anni ’60 e ’70. D’altronde non potrebbe essere diversamente, vista la lista degli strumenti impiegati per l’impresa: è l’Hammond in primis, infatti, a portare inevitabilmente con sé rimandi, ricordi, suggestioni di atmosfere musicali in voga tra i trenta e i quarant’anni fa. Ma Enri non si ferma alla rievocazione, al recupero o peggio ancora alla riesumazione: nei suoi pezzi, tutti originali tranne uno (ne parleremo tra poco), l’organo Hammond ritrova una precisa funzione, quella di generatore di un suono dotato di purezza e potenza timbriche rimaste insuperate. Così funk, soul e easy-listening conoscono una nuova, vividissima collocazione, quasi una riscrittura, o un ripotenziamento dei generi.
Venendo al disco, lo slalom tra i brani è più che gratificante, e conduce alla scoperta di vere e proprie chicche. Italian suite è uno dei pezzi strumentali più belli che ci siano in circolazione. Ricorda le colonne sonore di Piero Piccioni, ma la melodia che lo percorre, così nostalgica ed orecchiabile, lo rende quasi una canzone. Aria è un tuffo nella psichedelia più marcata, un pezzo quasi pinkfloydiano, mistico. Passando ai brani cantati, in I’m a VIP sembra di sentire Prince che rilegge i Blues Brothers (ma il ritornello sembra dei Bluvertigo).
Old enough potrebbe uscire da un disco di James Brown, mentre Another chance è un pezzo beat, ma il cantato effettato lo colloca altrove, in un’altra dimensione. Giustamente famosa la cover di Lessons in love dei Level 42, trascinante, sintetica e leggera, con tanto di vocoder a sdrammatizzare il tutto. Tornando agli strumentali, è potenza assoluta la doppia traccia Cozmootronic experience parti prima e seconda, con quel giro di basso così sferzante ed espressivo. La conclusiva Horizon, in cui si avverte una spassionata eco morriconiana, ha il ritmo, la profondità e l’ariosità giuste per chiudere un disco meraviglia che non è il caso di lasciarsi sfuggire: anche perché costituisce la base per la meritata esplosione internazionale del musicista, ora alle prese con un singolo che sta spopolando all’estero (The performer, acquistabile su iTunes o su vinile 45 giri!) e che apre la strada ad un nuovo album di prossima pubblicazione, mentre Enri è attivamente coinvolto nel nuovo progetto di Mike Patton, Mondo cane, dedicato alle canzoni italiane degli anni ’50.