“Man from Plains” di Jonathan Demme

Il presidente “buono”

Orizzonti Doc
“L’uomo che viene da Plains” del titolo è Jimmy Carter, trentanovesimo presidente degli Stati Uniti d’America e Premio Nobel per la pace per le sue molteplici iniziative a favore dei diritti umani e della pace mondiale. Plains è una cittadina rurale della Georgia in cui egli è nato nel 1924. Diversamente dal tipico documentario biografico sulla storia e le idee di una personalità di sicuro livello mondiale, Jonathan Demme prende il destro per questo suo lavoro da uno specifico evento editoriale: l’uscita ed il tour di presentazione dell’ultimo dei ventuno libri scritti dall’ex-inquilino della casa Bianca, “Palestine: Peace Not Apartheid”, in cui egli difende apertamente la posizione delicata del popolo palestinese, accusando da un lato Israele di eccessi politico-militari, e stigmatizzando però anche con decisione ogni attività terroristica da parte araba.

Demme è un vincitore di Oscar e continua a sfornare fin dal 1974 lungometraggi di fiction di sicuro valore: l’esordio Caged Heat per la factory di Roger Corman precede Qualcuno volò sul nido del cuculo di Forman per certi suoi temi, mentre i suoi “best-seller” Il silenzio degli innocenti e Philadelphia lo hanno iscritto nella storia del cinema con merito. Forse meno noto, almeno da noi, è il suo impegno per i diritti civili e le questioni sociali più scottanti: in parte ce ne siamo accorti almeno con il documentario The Agronomist sulla situazione ad Haiti e la libertà di espressione nell’isola caraibica, che ha avuto degli echi meritati, ma l’interesse per il genere e per i problemi su scala internazionale non è affatto passeggero o strumentale nel sessantatreenne newyorkese.

Con questo suo The Man from Plains Demme coniuga la sua ormai riconosciuta capacità di gettare un attento sguardo documentale sulla realtà a certe riflessioni per niente scontate sulla situazione generale, sullo “stato delle cose” del mondo in cui ci tocca vivere. La mediazione è delle più nobili e lusinghiere, se si avvale come fa del prestigio e dell’attività instancabile di Jimmy Carter, qui seguito da vicinissimo nel corso dell’ennesimo “tour de force mediatico” legato al suo ultimo, controverso libro sulla questione mediorientale, da noi ancora inedito, Palestina: pace, non Apartheid. Come veniamo a sapere da questa serrata e densa testimonianza filmata, il testo è diventato sì rapidamente un best-seller ed un tema di conversazione accesissima in tutti i media a stelle e strisce, ma ha anche comprensibilmente sollevato un vespaio per alcune delle tesi che sostiene circa le responsabilità israeliane, e forse ancor più per lo stesso termine storico che spicca già nel titolo: gli intellettuali ebrei (per non parlare delle autorità governative di Tel Aviv) si sono risentite non poco nel sentirsi ricollegare ad un fenomeno discriminatorio così grave come quello sudafricano, ma alcune voci interpellate nel documentario (segnatamente all’interno della comunità afro-americana) hanno addirittura considerato un’offesa nei confronti dell’esperienza di Mandela che la condizione palestinese potesse essere anche solo nominalmente equiparata alle politiche razziste della Pretoria di un tempo.

Rimane evidente l’ammirazione per lo statista da parte del regista (dichiarata del resto senza remore già nelle affermazioni ufficiali e nel materiale stampa che accompagna il film), che ce ne presenta anche molti lati intimi e personali, non si sofferma troppo sulle voci dei suoi oppositori e inanella a tratti troppe scene elogiative una di seguito all’altra, come tutti i complimenti incassati per strada o in libreria dai semplici cittadini della diaspora palestinese, o la sequenza in cui vediamo Carter lavorare in prima persona ai cantieri del (peraltro ammirevole) programma “Habitat for Humanity”. Non vogliamo essere fraintesi, ma a tratti, dopo un immediato slancio di ammirazione per le forze intatte dell’instancabile ultraottantenne, lo spettatore potrebbe a freddo sentire la puzza di “culto della personalità”, per quanto applicato a fini democratici… Un ulteriore esempio della presenza di Demme è il seguente: quasi a scansare accuse di imparzialità vediamo in montaggio alternato sequenze di distruzione delle case palestinesi ad opera delle ruspe e dei tank israeliani, seguite immediatamente da immagini di repertorio legate agli attentati suicidi nelle città ebraiche. Questo “cerchiobottismo” di riparazione non basta a nascondere l’orientamento del protagonista e dell’artista, motivo per cui anche il poco spazio lasciato ai docenti di origini ebraiche (i quali confutano prevedibilmente l’esattezza di molte affermazioni presenti nel libro) ci lascia un po’ nel dubbio e con la voglia di saperne comunque di più.

La questione israelo-palestinese è delicata, e la parte storica del film (per lo più legato ala tournee editoriale degli ultimi due anni) ci ricorda giustamente i meriti dell’amministrazione Carter (1977-1981) nel raggiungimento di una pace duratura fra Tel Aviv e Il Cairo; ciò nonostante il bigottismo latente del presidente (battista convinto e molto attivo nella propria comunità parrocchiale), che si sofferma in estenuanti preghiere prima di ogni pasto o si bea dei successi della propria fondazione, ci ricordano che forse bisognerebbe sentire anche altre campane prima di santificare un grande statista ancora in vita o invitare a credere che sia un’anima pura ed una quasi inspiegabile eccezione storica fra presidenti corrotti e texani dal cuore di ghiaccio (ogni riferimento alla dinastia baciapile ed “esportatrice di democrazia” un-tanto-al-chilo dei Bush è voluto).
E’ forse inevitabile: quando la materia del contendere è ancora rovente e si ha il peraltro meritevole ardire di sollevare questioni importanti (come fa il bravo Jonathan Demme), si finisce per disquisire del merito e poco del metodo estetico applicato nell’operazione; basti dire allora almeno che la fluidità del girato in alta definizione è merito dell’ottimo direttore della fotografia Declan Quinn, che ha spesso dovuto operare nello stretto di automobili di servizio sparate a tutta velocità (i SUV dei servizi segreti con i quali ancora si muove Carter) e che il regista riesce a non perdere mai il filo della narrazione, alternando l’intimo al pubblico, il serio al faceto (innegabile la verve e l’intelligenza del buon Jimmy), interviste a terzi e dichiarazioni del protagonista.
Si fa presto a parlare bene di Carter, di certo uno dei più abili e “meno peggio” intenzionati statisti americani degli ultimi tempi, ma l’ammirazione deve forse essere a volte più equilibrata per poter reggere ad eventuali controlli storici e alla prova del tempo. Interessante sarebbe sentire l’opinione di qualche critico cinematografico israeliano…

Titolo originale: Man from Plains
Nazione: U.S.A.
Anno: 2007
Genere: Documentario
Durata: 120′
Regia: Jonathan Demme
Sito ufficiale:
Cast:
Produzione: Participant Productions
Distribuzione:
Data di uscita: Venezia 2007