SYDNEY – Più di 100.000 persone in tutto il mondo questa settimana vedranno i dieci cortometraggi in concorso al Manhattan Short Film Festival. L’evento è nato tredici anni fa dall’idea di Nicholas Mason, australiano trapiantato a New York, che evidentemente aveva concepito il festival per un contesto più ristretto, come suggerisce il nome della manifestazione. Eppure la passione senza confini per il cinema e una buona dose di PR hanno portato il festival ad espandersi fino a toccare 195 città sparpagliate in tutti e cinque i continenti, tanto che ora gli organizzatori hanno dovuto aggiungere un sottotitolo esplicativo: “One world. One week. One festival.”.
In questa edizione fa capolino anche il corto italiano Uerra, opera prima di Paolo Sassanelli. Ambientato nella Puglia del 1946, il film mette in scena i battibecchi tra ex fascisti ed ex socialisti in un contesto postbellico segnato da un’incredibile voglia di normalità. Sono i bambini a rappresentare l’innocenza tanto agognata e a scontrarsi con il mondo degli adulti, impegnati a portare il companatico in tavola e a rapportarsi con i soldati americani ancora presenti nella penisola. I passatempi infantili si confrontano con lo spettro della guerra appena conclusa, regalando agli spettatori momenti di cinema inaspettatamente vividi. Non di inferiore qualità è il film tedesco 12 anni, surreale dialogo tra un coppia in crisi, in cui i protagonisti hanno sembianze animali come in certi film di David Lynch o di Richard Kelly.
Non altrettanto riuscito l’australiano Push bike, che nemmeno a Sydney ha raccolto sinceri applausi. La storia di una donna costretta a tornare a casa in bicicletta completamente nuda, dopo esser stata derubata dei vestiti in piscina, è sembrata ai più un esercizio filmico senza spessore. Ottimo invece l’altro film in cui compare una piscina: The pool dell’irlandese Thomas Hefferon. Gare di immersione e scherzi tra preadolescenti si trasformano in pungenti immagini cinematografiche che portano a galla insicurezze e allucinazioni; un corto davvero difficile da dimenticare. La Francia quest’anno invece presenta un’animazione sul Madagascar.
Si tratta di un particolarissimo diario di viaggio, molto innovativo da un punto di vista figurativo ma forse non altrettanto in termini contenutistici. Il contrario forse si può dire del cortometraggio canadese, in cui la morte è rappresentata come un immaginario volo di palloncini sotto forma di esseri umani: una sorta di favola triste, intrigante quanto stilisticamente prevedibile. Nascondimenti e rivelazioni sono invece al centro sia dell’inglese Watching che del polacco Echo, entrambi interessanti esempi di talento attoriale al servizio dello scontro psicologico.
Spiazzante Underground di Eduardo Covarrubias Diaz, vicenda di due migranti illegali che dal Messico passano in America grazie ad un cunicolo sotterraneo: un’avventura in soli 10 minuti che sembra raccontare una storia millenaria. Forse però tra tutti questi cortometraggi potrebbe vincere il concorso il croato Party, racconto di un viaggio sulle rive del fiume Vuka di un gruppo di ragazzi in cerca di divertimento senza pensieri. Di colpo però sembra di svegliarsi in un cimitero senza senso, come in un incubo non totalmente interpretabile ma che sembra generare significati profondi che toccano i sentimenti prima che la razionalità. Visto che il vincitore è determinato dalle scelte degli spettatori, sarà curioso quale di questi film potrà accomunare i gusti dei cinefili di così tante provenienze. L’annuncio è previsto per la domenica conclusiva a New York.