L’acquazzone che si è abbattuto sulla settecentesca Villa Contarini, proprio all’ora d’inizio prevista per il concerto, poteva far pensare alla parte del pubblico meno ottimista di essere capitati in una cosiddetta “serata storta”. Quel che è certo è che l’atmosfera creata dal tramonto di piombo e la vista di certi fulmini abbaglianti avevano già in precedenza inquietato, almeno un po’, i numerosi avventori. Poi, quando la pioggia è arrivata (torrenziale), nei presenti si è insinuato il dubbio che il concerto sarebbe stato annullato, come già accaduto per quello di Giovanni Allevi, che avrebbe dovuto svolgersi giusto qualche giorno prima ed è slittato al 24 luglio. Invece, circa venti minuti dopo, la pioggia cessa e il cielo si apre lasciando intravedere le stelle e riconsegnando l’entusiasmo alla gente.
La coppia Del Naja/Daddy G fa la sua comparsa sul palco subito dopo, interagendo col pubblico grazie a un italiano piuttosto fluente. Ad accompagnarli c’è una band di cinque elementi più tre vocalist, che si avvicendano di volta in volta nell’interpretazione dei brani. Ciò che colpisce di primo acchito sono due cose: la prima è che il volume è leggermente basso; la seconda è la spettacolarità del video-wall che fa da sfondo sul palco, in grado di creare giochi di luce particolarmente seducenti. L’avvio è in sordina, evidentemente la band inglese non vuole, almeno all’inizio, forzare troppo la mano. Nell’ambito di questo primo gruppo di canzoni si collocano perfettamente delle hit lente come Rising Son e Teardrop. Si entra così progressivamente nel vivo dell’evento, lasciando spazio ad un secondo filone di canzoni, in cui rientrano Safe from Harm,Inertia Creeps e Mezzanine, oltre ad alcuni brani inediti come Red Light, che appariranno nel prossimo album. Sono pezzi, questi, con un più alto grado di tensione e un ritmo più sostenuto. La chitarra è tagliente e squarcia la pesante e buia coltre delle basi ritmiche, lasciata cadere su un pubblico sempre più ipnotizzato. L‘atmosfera si scalda, complici un mixing che adesso è davvero perfetto e un leggero incremento generale del volume. Intanto, i giochi geometrici-astratti delle luci divengono via via sempre più delle suggestioni esplicite. Semplici parole si evolvono creando tabelloni di orari aeroportuali, rotte aeree, frasi che fanno il verso al gossip e slogan di denuncia e di resistenza; riferimenti politici e sociali non troppo velati, che raggiungono l’apice del pathos in sapiente corrispondenza con la musica, mai così compatta come adesso a erigere un impressionante muro sonoro.
Appare giusta, allora, la breve pausa che segue, per decomprimere almeno un po’ l’emotività di un pubblico pienamente coinvolto. E perché è una ripresa folgorante quella che si presenta pochi minuti dopo: Angel e Unfinished Sympathy costituiscono, infatti, una coppia di canzoni che punta dritta al cuore dei fan della band di Bristol. Arriva, infine, anche il bis, e come ci si aspettava è condensato nel ritmo tribale di Karmacoma.