“Medea” di Christa Wolf

Il mito della donna di allora e di oggi

Medea , in scena al Teatro Verdi di Milano dal 6 al 18 maggio, è colei che sa consigliare e provvedere: questo il significato del nome di una delle maghe (e delle donne) più famose del mito, colei che aiutò l’Argonauta Giasone a conquistare il Vello d’oro, contro ogni regola, contro gli interessi del suo stesso Paese e della sua stessa famiglia, colei che agì solo per amore. Così avviene l’incontro tra la mitica figlia del re Eete e Idia e l’eroe greco, giunto in Colchide con i compagni per conquistare il Vello d’oro, indispensabile per ottenere il trono di Iolco. In cambio del suo aiuto però la maga chiede a Giasone una promessa: dovrà portarla via con sé e sposarla. Per seguire il suo amato Medea è disposta a tutto, persino a trucidare il fratello Apsirto e spargerne le membra in mare per rallentare l’inseguimento dei colchi, che non vogliono lasciarla partire.

Dopo essere giunti a Iolco, Medea e Giasone si stabiliscono a Corinto, dove vivono felici per dieci anni. Ma un triste e tragico destino li attende, un destino di morte e vendetta dove nessuno si salverà se non la forza e la dignità di un personaggio tanto discusso quanto sviscerato e analizzato in ogni sua sfaccettatura, un personaggio che è allo stesso tempo divino e umano, carnefice e vittima, regina e straniera. Medea viene abbandonata da Giasone per Glauce, figlia del re Creonte e il suo dolore è incontenibile: da quel momento la sua vendetta e la sua furia non risparmiano nessuno, nemmeno i figli da lui avuti né la stessa rivale, la quale morirà dopo aver indossato una veste avvelenata dalla maga, da cui si sprigiona un fuoco che distruggerà l’intero palazzo reale. Medea è bandita da Corinto e Giasone, cieco, sarà costretto a vivere in miseria per il resto dei suoi giorni.

Oltre il mito. È un lavoro che dura da quindici anni quello di Christa Wolf (Progetto donne e mito), concentratosi in particolare su due sue figure femminili di rilevo, Cassandra e Medea, che rappresentano alcuni aspetti di ogni donna ancora oggi, dal coraggio di dire la verità all’essere spesso vittime sacrificali a livello sociale e culturale. Un lavoro, quello della scrittrice tedesca, che ha portato sulle scene una Medea “positiva” e suscitatrice di pietà, che improvvisamente non è più fratricida né infanticida ma diventa capro espiatorio delle tensioni sociali, una selvaggia, una profuga, un’immigrata disprezzata e mai accettata dalla sua nuova città. In undici monologhi, accompagnati dalle splendide musiche dal vivo di Danila Massimi, la Wolf fa parlare molto spesso Medea ma anche i personaggi che a Corinto le ruotano attorno, sei voci che raccontano soggettivamente un’unica, tragica vicenda: l’allieva-rivale Agameda, anche lei proveniente dalla Colchide ma, a differenza di Medea, perfettamente inserita nella società corinzia e vergognosa delle sue origini “barbare”; gli indovini Acamante e Leuco; Glauce, principessa di Corinto; Giasone.

E attraverso questi “mini atti”, l’autrice riscrive il mito, porgendocelo quasi del tutto epurato dalle accezioni sinistre e malvagie dell’immagine della maga. Medea è molte donne odierne, donne profughe, sole, abbandonate, è colei che sceglie le passioni al posto del calcolo, la comunione e la tolleranza al posto della divisione, colei che chiede disperatamente di essere accettata. Non più una maga dai poteri divini e soprannaturali ma una donna, un essere umano che rimane vittima dei giochi di potere che freneticamente si susseguono in “questo disco che è il mondo”. Giasone sposerà la figlia del re, è deciso, ma a differenza di Medea non ha il coraggio di ribellarsi a scelte imposte per lui da altri. È l’uomo assente, il compagno che non ha il coraggio di lottare per difendere la sua donna e il rapporto che ha costruito con lei.

Il finale è implacabile e atroce, come il mito comanda, ma l’attenzione è posta su altro, sulla domanda che si fa Medea (“In quale posto posso stare bene? Non c’è nessuno a cui chiederlo e questa è la risposta”), sulla considerazione dell’indovino Leuco (“Solo io sono innocuo perché non farò mai nulla per cambiare gli uomini. Guardo le stelle e aspetto il mattino”). E sulla domanda che sorge, spontanea, in tutti noi, considerando il mito da più sottili punti di vista che la Wolf mette in luce: Medea, la barbara omicida, è rifiutata e disprezzata dai corinzi, popolo “civile”, in quanto straniera, extraneus, strana, estranea. Ma, a questo punto, chi sono i veri barbari? Al personaggio di Medea, ripreso al termine in tutta la sua potenza, non rimane che la vendetta per continuare ad esistere ma soprattutto la granitica consapevolezza che quando tutto è perduto una sola cosa resta: “resto io”.

“Medea” di Christa Wolf
Regia Maurizio Schmidt
Con Elisabetta Vergani, Giorgia Coco, Martina De Santis, Angelo Di Genio, Antonio Peligra, Alessandro Tedeschi
Musiche dal vivo di Danila Massimi
Produzione Teatro Verdi-Teatro Farneto
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