“NOTTE SENZA FINE” di Elisabetta Sgarbi

Elisabetta Sgarbi sonda il territorio delle letteratura filmata. Quando le ombre dialogano con la mente.

Notte senza fine è un esperimento di cinema/letteratura. E’ un viaggio ai confini di questi due arti in un loro possibile punto di congiunzione. Elisabetta Sgarbi utilizza il linguaggio cinematografico in maniera atipica. Si potrebbe dire quasi che il linguaggio audiovisivo venga scisso nelle sue due compenti e quella visiva risulti marginale rispetto a quella sonora. Al centro di questo lavoro infatti vi è la parola, che viene trattata come dei personaggi. Questo l’obiettivo da cui è partita la regista. L’immagine è funzionale alla parola, funge da supporto al testo scritto e poi recitato. L’ispirazione del film viene infatti da 3 racconti di Amin Maalouf, Tahar Ben Jelloun e Hanif Kureischi. Il risultato sono 3 episodi: Amore, Tradimento, Incesto. Elisabetta Sgarbi accende la macchina da presa e tutto il resto è dato dalla recitazione degli attori, dalla fotografia buia, dalle scenografie scarne e surreali, dall’uso espressionistico della luce e dai giochi di luci ed ombre sui volti degli interpreti (Galatea Ranzi, Toni Servillo, Laura Morante, Anna Bonaiuto). I monologhi offerti dagli interpreti, avvolti tra le ombre, ruotano attorno all’idea di un amore astratto, di un incubo ossessivo, di un’allucinazione malata. Attraverso questa messa in scena essenziale, le emozioni provocate sono dovute solamente alla forza della parola che perfora lo schermo e travolge lo spettatore senza che questi abbia altri sostegni a cui aggrapparsi.
Il risultato è sicuramente affascinate nella sua sperimentazione artistica ed una cosa è certa: Elisabetta Sgarbi non usa tutte potenzialità del mezzo cinematografico proprio per dare spazio ed enfatizzare la potenza della parola. Il dubbio che nasce quindi è proprio se questa valorizzazione e impersonificazione della parola avrebbe trasmesso di più senza il filtro dello schermo filmico, rispetto a ciò che può essere trasmesso da questo uso/non suo del linguaggio cinematografico. Ci si chiede se questo utilizzo della Parola non abbia più a che fare con il teatro che con il cinema. Il dubbio ci rimane. Non sappiamo risponderci. Non sappiamo neppure se abbia senso porsi la domanda.

Elisabetta Sgarbi ci ha risposto a riguardo:
“Il film è nato da una proposta di Marco Nereo Rotelli che doveva presentare con Fernanda Pivano un progetto di letteratura, teatro, cinema sulla cada di Marlungo. Mi ha coinvolto e io ho accettato volentieri, per cui ho cominciato a lavorare sul tema della cava, dello scolpire la cava. Ho legato questa proposta all’idea di cinema e l’ho intitolata “Scolpire l’ombra”: l’intenzione era partire dal buio e attraverso la sottrazione del buio, giungere alla luce.
Con questo film ho voluto fare un cinema delle parole. Non volevo fare teatro ma piuttosto letteratura filmata. I monologhi non sono teatrali. Mi viene in mente Dark Passage di Delmer Daves in cui Lauren Bacall parla con Humprey Bogart nascosto nel buio: questo è ciò che tentato di fare io, una voce che dà senso a una presenza.
Ho cercato di far vedere la parola e infatti sono partita dai testi per realizzare le immagini. Il film richiede allo spettatore lo sforzo di entrare nelle immagini e nelle parole.”

Titolo originale: Notte senza fine
Nazione: Italia
Anno: 2004
Genere: Drammatico
Regia: Elisabetta Sgarbi
Cast: Laura Morante, Galatea Ranzi, Toni Servillo, Anna Bonaiuto
Produzione: Betty Wrong
Distribuzione: Istituto Luce
Data di uscita: 19 Novembre 2004 (cinema)