“Nanà” di Emile Zolà

Un triste epilogo per la bella Venere.

Emile Zolà, capostipite della scuola naturalista, pubblica Nanà nel 1880, tre anni dopo che un altro grande francese, il pittore Manet, ha immortalato una fanciulla dallo stesso nome in un omonimo dipinto.

La somiglianza non si limita solo al nome della ragazza, ma anche la descrizione che ne fa Zolà e l’immagine che ne da Manet è la stessa: una bella giovane dalla pelle bianca, le forme morbide e la chioma rossa . In tutti e due è una prostituta: Zolà lo dice chiaramente mentre Manet lo lascia intuire rappresentandola con addosso solo il busto e la sottoveste mentre, senza vergogna per il suo stato, guarda maliziosamente l’osservatore.

Nanà è Venere, in una commedia musicale a teatro e questo ruolo la lancia verso l’alta società francese. La scena da tutti attesa con trepidazione e quella in cui ella si mostra al pubblico, accorso in massa, completamente nuda. Non è brava a recitare nè a cantare, ma Nanà è l’idolo delle folle, non c’è uomo in tutta Parigi che non la voglia e quando appare in scena un moto voglioso e sensuale si percepisce nel teatro. In molti sono pronti a mantenerla pur di averla come amante, sono conti, baroni, teatranti e a turno conoscono le dolcezze di quel giovane corpo. Si rovinano per lei, arrivano a ipotecare terreni e case per farla vivere da signora, mentre lei, avvolta nell’oro, si stanca ben presto di tutti i suoi amanti.

Zolà ci racconta la storia di questa fioraia, diventata prostituta che ben presto conosce le gioie di amanti ricchi che le permettono di fare una vita da signora. Ama tutti i suoi amanti, ma in realtà non ne ama nessuno, anzi gode nel vederli andare in rovina per lei. Alcuni la venerano come un dea altri si stancano presto delle sue maniere. Nanà non si sa accontentare mai di quello che già ha, vuole sempre di più e, quando l’amate di turno, come il conte Muffat, la rende proprietaria di un palazzo completo di servitù non si accontenta nemmeno di questo. A sconfiggere la noia dei suoi giorni arriva Satin, un’altra prostituta che le fa conoscere l’amore saffico. Una gioia nuova per Nanà stanca delle storie comuni con gli uomini . Eppure questa vita di sregolatezze e di ricchezze svanisce con la sua morte: Nanà si decompone lentamente a causa del vaiolo preso sul capezzale del figlioletto morente. Un triste epilogo per la bella Venere.

Zolà ha la capacità di giocare con i numerosi piani narrativi del testo: le vicende di Nanà sono un pretesto per parlare della società parigina dominata dal falso splendore del secondo impero di Napoleone II. Un grande affresco realistico che vede, nel volto decomposto di Nanà morta raffigurasi un’intera società allo sbando.