“No Direction Home: Bob Dylan” di Martin Scorsese

Ritratto d’autore per Bob Dylan, un poeta fuori dagli schemi

“Officinema” Festival di Bologna
Grande ovazione ieri sera per Martin Scorsese, ospite al Medica Palace di Bologna per presentare il suo ultimo documentario. Il direttore artistico della Cineteca, Giuseppe Bertolucci, lo ha accolto “semplicemente” elencando uno ad uno i suoi ventuno film, col sottofondo degli applausi degli astanti. Subito dopo la parola al Maestro, gioviale come sempre.

Scorsese non si perde in dettagli e inizia subito a raccontare come è nato il progetto. Un giorno lo contatta Jeff Rosen, il produttore del cantante, che gli annuncia di avere molto materiale inedito su Dylan, soprattutto sugli inizi della carriera e sarebbe un peccato non utilizzarlo. Poi Rosen aggiunge di avere anche una intervista di oltre cinque ore, definita dallo stesso Dylan come l’ultima della sua carriera. Gli impone solo un limite: bloccare il documentario al 1966. La prima risposta di Scorsese è stata “Lo amo troppo per farlo”, ma poi ha vinto la paura. E ne è venuto fuori un lavoro molto complesso che, oltre a delineare la nascita del personaggio, le influenze musicali, il sofferto passaggio dal folk al rock’n roll, racconta magistralmente un pezzo di storia americana. “Volevo capire come lavora l’artista, come arriva a formulare un’idea e a farla vivere” dice Scorsese, “ma ero anche interessato a capire le ragioni legate ai suoi cambi stilistici”. “Come regista newyorkese è stata una esperienza nuova raccontare l’America di provincia, le realtà musicali ad essa legate, il Minnesota di Dylan” e poi aggiunge “questo documentario l’ho lasciato e ripreso più volte, ho iniziato a lavorarci sul set di Gangs of New York e l’ho finito su quello di The Aviator, è stata un’esperienza energizzante”.

No Direction Home parte proprio da quella casa di Hibbing, luogo sperduto del Minnesota in cui Robert Zimmerman suona il piano e la chitarra fondando la sua prima band. Ama la musica folk a tal punto da rifarsi integralmente ai grandi del genere, Colette, Pete Seeger, ma più di ogni altro a Woody Guthrie. Mentre gli altri autori folk cantavano testi piatti e banali, le liriche di Woody Guthrie parlavano di dolore, razzismo, problemi sociali. Il fatto colpisce molto il giovane Robert che inizia a rifare le canzoni di Guthrie, ne cerca i dischi, lo assume come padre spirituale.

A diciannove anni Robert capisce che il Minnesota non avrebbe pouto assicurargli nessun successo. Si trasferisce a New York e diventa Bob Dylan: in pochi mesi assorbe e intuisce più nozioni sulla musica di quante ne aveva capite a casa in vent’anni di vita. Si esibisce in tutti i localini del Village, affollato di bohemièn e di aspiranti artisti. In quel periodo Dylan non era diverso da tanti altri cantanti, la competitività era molta. Per farsi notare inizia a indossare un berretto e a portare l’armonica a bocca appesa al collo con uno strano aggeggio mai visto prima di allora. Di lì a poco emerge il fattore che ne determina il successo: la scrittura. Come racconta Joan Baez, per lui scrivere era qualcosa di assolutamente naturale. Poteva farlo ovunque con una naturalezza impressionante. Siamo nei primi anni sessanta e mentre la Columbia produce il primo album del giovanissimo cantautore il fermento sociale e culturale cresce. Dylan e Baez cantano Blowing’ in the wind di fronte a una folla sterminata il giorno dello storico discorso di Martin Luther King. Per Dylan arriva il successo, ma insieme a questo anche i tentativi della stampa di etichettarlo come voce dei giovani, come politicamente impegnato, come uno che scrive “canzoni di protesta”. Questa definizione è assolutamente rinnegata da Dylan che, come dichiara nel documentario uno dei suoi più cari amici, di straordinario aveva il dono di riuscire a tradurre in parole un malessere condiviso da tutta una generazione. Ma le etichette Bob, non le soffriva.

Tuttavia, il percorso artistico di Dylan si evolve e dimostra la sua grandezza anche da un punto di vista strettamente musicale. Non rinnega il folk, solo ha voglia di sperimentare, di passare a ritmi più pop, più duri. Questo determina una frattura profonda tra Dylan e il pubblico che, soprattutto in Europa, inizia ad andare ai suoi concerti solo per insultarlo. Il pubblico si sente tradito, non riesce a capire che la svolta artisitica di Dylan sta solo anticipando cambiamenti molto più profondi. Nel 1965 con l’album Bring it All Back Home Bob Dylan raggiunge la fama internazionale e con la sua The Band parte per un tour internazionale. Qui non solo deve vedersela con le domande sempre più stupide e impertinenti dei giornalisti, tipo “ma perché ha tanto successo?!”, ma inizia anche a lottare con il feticismo dei fan e con la stanchezza del tour. Arriva insomma ad una fase di saturazione, di stanca, perfettamente in linea con la personalità schietta e concreta che caratterizza Bob Dylan, una sorta di genio inconsapevole di esserlo.

A inizio serata Scorsese aveva annunciato che questo sarebbe stato un documentario sugli occhi di Dylan, che in fase di lavorazione lo avevano molto colpito. In effetti guardando attraverso quegli apparentemente impenetrabili occhi verdi sembra rivelarsi tutta la sobria sensibilità dell’artista.
No Direction Home, nonostante la sua lunghezza, riesce a mantenere una straordinaria compattezza narrativa, si dilunga proprio lì dove la nostra curiosità preme. Anche in questo documentario la grandezza di Martin Scorsese sta nel suo riuscire a “sparire”, riaffermando ancora una volta la sua vocazione realista.

NO DIRECTION HOME: BOB DYLAN
USA, 2005, 35mm, 201′, b/n_e_colore
regia, soggetto/director, story Martin Scorsese
montaggio/film editor David Tedeschi
musica/music Bob Dylan
suono/sound Philip Stockton
interpreti/cast Bob Dylan, Joan Baez, Allen Ginsberg, Al Kooper, Dave van Ronk, Pete Seeger, Maria Muldaur
produttore/producer Margaret Bodde, Susan Lacy, Jeff Rosen, Martin Scorsese, Nigel Sinclair, Anthony Wall
produzione/production Spitfire Pictures, Grey Water Park Productions, Thirteen WNET New York/PBS, Sikelia Productions
coproduzione/coproduction Vulcan Productions, BBC, NHK
distribuzione/distribution Paramount Home Video, Italia