“Nosferatu” di F. W. Murnau

Copriti bene il collo, stasera: c’è Dracula al cinema

A Macerata MutOmaggio 2006
Inizia in grande stile “Mutomaggio”, nella placida Macerata, rassegna che la città dedica al cinema muto d’annata. Poche le poltrone vuote, musicisti sul palco, visi curiosi: per una sera, è il buio in sala a farla da padrone, e uno dei padri dei moderni horror dagli occhi a mandorla. “Nosferatu” è senza voce, ma per quegli occhi cerchiati di nero, le parole paiono proprio essere superflue.

Non se ne vedono spesso, qui, nella pigra città marchigiana, di eventi così. Eventi nuovi (per quanto il festival sia già alla sua terza edizione), che, per qualche sera, sembrano scuotere le facciate marroni del centro, le strade lastricate attorno alla piazza.
Mutomaggio è uno di questi. Probabilmente, un evento coraggioso: chi avrebbe mai scommesso su film muti, in bianco e nero, archiviati in videoteche e riproposti a notte inoltrata, spesso ad arbitrio unico di un direttore di rete?
Si comincia con Nosferatu, il vampiro, l’incarnazione del male, del terrore, della notte scura, per continuare poi con altre tre proiezioni. Pensi a lui, a Dracula, e subito ti viene in mente un castello isolato, la Transilvania, l’ululato di lupi in lontananza, una bara aperta, una treccia d’aglio e l’immancabile paletto di frassino, da conficcare proprio al centro del cuore.

Il conte vampiro portato sul grande schermo da Murnau, che diresse questo film nel 1929, ha molto in comune con quello, altrettanto famoso, descritto nel romanzo di Bram Stoker: si potrebbe quasi dire sia lo stesso, se non fosse per lo sceneggiatore, Henrik Galee, che si ispirò al libro modificandone però nomi e luoghi, per non essere costretto a pagare i diritti d’autore. C’è il bravo uomo, Hutter, inviato in Transilvania, per concludere un affare; c’è la giovane moglie, che in sua assenza soffrirà di strani momenti di sonnambulismo e deciderà di sacrificarsi, pur di liberare la città da una peste dai lunghi e aguzzi denti; e c’è lui, Nosferatu, deciso a comprarsi una casa proprio a Brema, in Germania: l’allampanato Max Schreck, passato alla storia del cinema per quella pelata stralunata, quelle orecchie a punta, le dita lunghe e contorte, lo sguardo malato e inquieto, gli atteggiamenti strani, minacciosi.


Nosferatu
, certamente uno dei più grandi film dell’orrore, prototipo nel suo genere vampiresco, pur essendo nato in pieno espressionismo, se ne discosta per quanto riguarda le scelte estetiche: niente fondali teatrali, disegnati, finti, ma ambienti reali, veri; montagne, villaggi, strade, sapientemente ripresi e montati per creare un’atmosfera tesa, rigida come una corda di violino, capaci di suscitare ansia nello spettatore pur senza mostrare mai completamente, mai tutto. Un sottile terrore, più palpabile che manifesto, percorre l’intero film, coinvolgendo anche noi, spettatori moderni avvezzi alla mattanza del cinema splatter e alla banalità del male in tv. E certe scene rimangono scolpite nella memoria, o sono già parte del patrimonio collettivo: come quella dell’ombra lunga, dagli uncini contorti, che si avvia silenziosa e rapida per la scala, attirata dall’odore della sua ultima preda. E se pure alcune scene paiono oramai distanti alla nostra “educazione visiva”, strappando un sorriso (come quello davanti ad un Nosferatu a zonzo per la città con tanto di bara sotto braccio), vale sempre la pena gustarsi un grande classico, dove la paura non è assolutamente una questione di ossa rotte.