Unico appuntamento del Carnevale 2006 Il drago e il leone presentato in un teatro della terraferma, l’Orlando Furioso, liberamente tratto dall’omonimo poema di Ludovico Ariosto, porta sulla scena un Orlando e un’Angelica che si confrontano con una quotidianità ormai priva di poesia.
Per la trasposizione teatrale di un testo così bello e completo, il regista Antonino Varvarà si è chiesto che cosa l’opera è, che cosa essa ha rappresentato finora e che cosa, soprattutto, “potrebbe più non rappresentare”. Ne è emerso uno spettacolo di riflessione.
Riflessione prima di tutto sulla poesia: essa non sembra più occupare un posto di rilievo, oggi le priorità sono altre. Non ha più senso cantare di “donne, cavallier, arme e amori”, non ci si abbandona più al piacere dell’ascolto, del mito, del sogno, presi come siamo da un mondo in continuo cambiamento. Ma l’oblio che ne consegue rischia di uccidere personaggi come, appunto, Orlando e Angelica, che vivono nella poesia e vedono nella poesia l’unica possibilità di immortalità.
Per non essere dimenticata insieme ad essa, Angelica decide pertanto di uscirne e calarsi nel mondo moderno per trovare qualcuno che possa ancora credere in lei, in Orlando, nella struggente storia d’amore tra Bradamante e Ruggiero, nella spada Durlindana, nella magia e nella poesia.
Lo fa a sue spese, diventando mortale, molto più simile ad un’anonima operaia cinese che alla bellissima figlia del re, sottostando alle leggi del tempo che passa, delle rughe, del duro lavoro, dell’invecchiamento. Uscire dalla poesia vuol dire ritrovarsi in una Cina che del Catai di Ariosto ha ormai ben poco. Non è più il Paese del mistero, delle avventure cavalleresche, delle belle principesse, degli incantesimi, dei Paladini di Carlo Magno, ma un Paese di uomini e donne che lavorano tenacemente, un Paese che il corso della storia –quella vera- ha mutato in modo radicale. È ancora possibile risvegliare dall’indifferenza gli uomini e le donne di oggi? È possibile ridestare in loro il ricordo della magica dimensione delle ottave dell’Ariosto?
La riflessione si sposta quindi dalla poesia in sé al mondo contemporaneo, dove gli eroi non riescono più a trovare i loro spazi, dove spesso sembra che la sofferenza prevalga su speranza e salvezza, finché non arrivano una Angelica e un Orlando per risvegliare ricordi poetici troppo di frequente sopiti.
La compagnia Questa Nave e l’Academia de Gli Sventati Produzioni Artistiche ci danno un bell’esempio di Teatro Contemporaneo, che riesce a far convivere poemi Cinquecenteschi con la nuova drammaturgia degli anni Novanta, in uno spettacolo che indaga sulle problematiche odierne sia del singolo che della collettività.
Antonino Varvarà riesce molto bene in questo, conciliando i due ruoli di regista e di autore: riesce allo stesso tempo a riprendere i temi dell’epica cavalleresca dell’Ariosto e dei suoi endecasillabi e a “tradirli” per sviluppare un’idea originale e portarla in scena.
Gli attori interpretano al meglio sia i personaggi mitici che gli uomini e le donne di oggi, con una drammaticità che parla di speranza. Lo spettacolo fa rivivere agli spettatori le complesse psicologie dei personaggi dell’Orlando Furioso originale e i drammi di un mondo contemporaneo che non lascia loro la possibilità di vivere.
D’effetto le semplici trovate scenografiche che trasformano all’improvviso un mucchio di vestiti e stracci in un castello, in un ippogrifo in volo e nel mago Atlante che lo cavalca. Ottima la trovata del velo che separa la scena dove si trova Angelica – il mondo contemporaneo- dal mondo incantato di Orlando e dal pubblico, funzionale alla proiezione di immagini e di un filmato che offrono uno spaccato della Cina odierna, di un mondo che sta dimenticando la bellezza della poesia e della fantasia. Solo alla fine, quando il ricordo di un mondo magico e fantastico si sarà risvegliato negli uomini e nelle donne di oggi, il velo si alzerà.