E’ quello che quest’anno offre Venezia: una Biennale di Architettura piena di suggestioni. Una Biennale che potrei definire con una sola parola: entusiasmante. Forse la più bella che ho visto fino ad oggi.
Il suo pubblico, però, deve essere quello abituato a vedere, a capire come entrare nello spirito di una mostra contemporanea. Un pubblico colto, un’elite culturale. Forse qualcuno non abituato all’arte visiva, all’esposizione, alla visione dell’architettura di oggi, potrebbe anche rimanere sconcertato. Ma poi, credo, spero, anche catturato.
Le due Biennali precedenti, quelle del 2004 e del 2006 sono state propedeutiche per permettere al visitatore un’immersione consapevole nei suggerimenti offerti dalla mostra di quest’anno. Nel 2004 sono comparse le prime avvisaglie di un “sogno”. Insieme ai plastici, sempre proposti con materiali nuovi, erano esposte le idee, realizzazioni che rappresentavano anche un “sogno”, una speranza. Nel 2006 abbiamo visto grandi video, grandi fotografie tanto da pensare di trovarci in una mostra di arte visiva. Quest’anno tra l’architettura e le altre arti contemporanee c’è una ancor maggiore fusione. Le suggestioni sono molto forti, soprattutto alle Corderie. Ogni lavoro presentato è un’opera d’arte spettacolare.
Chissà, forse l’anno prossimo anche i curatori della mostra di arti visive si sentiranno pronti ad accettare opere che raccontino veramente il contemporaneo. E a presentarle con suggestione e dispiego di elementi architettonici tali da riuscire a creare ambienti coinvolgenti.
All’ingresso delle Corderie è subito chiaro il pensiero di Betsky “l’architettura non è il costruire. E’ il modo di pensare di parlare sugli edifici. E’ il modo di rappresentarli, di realizzarli.” E poi dice ancora Betsky “Forse abbiamo bisogno di vederla soprattutto come un modo di capire ciò che è necessario costruire.” “Quindi creare un’architettura che non risolva i problemi, ma li ponga.”
In sostanza, cercare di vedere tutto come sperimentazione.
Il primo impatto si ha con l’installazione di David Rockell con Casey Jones e Reed Kroloff. E’ un ingresso in un mondo fantastico in animazione. Sembra di vedere finalmente una bella opera di videoarte. Camminando all’interno di due grandi pareti curve si può ammirare un qualcosa che va “oltre” la realtà. A determinare la suggestione non è la musica come per il film “Lo squalo”, questa volta è il corpo in movimento del visitatore a creare uno stato di attesa, e poi di suggestione, di attrazione, di coinvolgimento. Il corpo della persona che cammina è in grado di produrre colori in animazione.
Andando avanti, l’installazione del gruppo Asymptote Architecture di New York, ci dà quasi l’impressione di trovarci davanti ad una delle grandi sculture di Berlino. Quindi, anche questa volta, un richiamo all’arte visiva.
Ed ecco ci troviamo di fronte all’opera di Zaha Hadid “Lotus”. Un mobile, un ambiente di vita che si apre come un fiore e mostra l’interno di una casa. Devo dire che le opere della Hadid mi piacciono talmente tanto che mi sembrano musicali. Quando le guardo ho l’impressione di ascoltare un suono musicale articolato e completo. E’ una forma di sinestesia?
Continuando attraverso installazioni diverse sempre interessanti, spesso catturanti, arriva l’opera di Frank Gehry. Non finita, ma in progress. Anche lui allude ad un qualcosa che va oltre i propri confini. Ne risulta che mai nulla è semplice o chiuso nell’opera stessa.
E poi ancora il progetto del team olandese “UN Studio”. Tutto bianco, con un movimento continuo chiuso in se stesso, con brevi e ben inserite proiezioni, sembra di ascoltare un’eco senza fine che porge con semplicità ed eleganza note che vibrano. Una genialità composta.
Ma tutti i progetti vanno “oltre l’architettura”, quindi oltre la realtà e ci fanno sognare.
Ai Giardini mi è sembrato di trovare qualcosa di più didattico ed esplicativo con progetti curati, realizzabili e auspicabili. Come molti di quelli al Padiglione Italia, ma anche quello della Gran Bretagna o della Francia. Molto interessante il Padiglione Australia. Colmo, in maniera ordinata, di oggetti/progetti realizzati e in fieri.
Come sempre (c’è da dirlo?) il più affascinante mi è sembrato il Padiglione Giappone. Quasi magico. Come in quasi tutti gli anni è stato presentato un lavoro di grande raffinatezza “Estreme nature: Landscape of Ambiguos Spaces”. Sulle pareti dell’intero padiglione sono state disegnate a mano e con tratti delicati, immagini di piante, di fiori, di natura. Un sogno ancora una volta, un delicato magico sogno.
Infine non è possibile non parlare del Padiglione Italia alle Corderie. “Roma interrotta”. Nel 1978 nacque questo progetto, ideato dall’architetto Sartogo per il quale fu allestita una mostra ai Mercati Traianei. L’iniziativa voleva porre l’attenzione su come si fosse fermato a Roma ogni impulso di progettazione urbanistica. Oggi il progetto si è trasformato in “L’Italia cerca casa”. Non si tratta solo di crogiolarsi in un passato aureo o un presente disastroso. La nuova proposta viene da 12 studi di architetti italiani, appartenenti a diverse generazioni che hanno pensato ad approcci progettuali totalmente nuovi, a soluzioni particolari e fattibili.
A mio avviso il progetto più attraente e divertente viene dal MAD Architecture Office. Una specie di grande stella tridimensionale che può essere inserita nelle città come nei luoghi più diversi. E’ solo una questione di fantasia e desiderio di avere un qualcosa di veramente “oltre”, di veramente diverso.
In conclusione una Biennale che è importante per tutti visitare, perché sembra chiarire bene la direzione che ha preso l’arte contemporanea in genere. Sembra che ci possa mostrare come sarà il nostro futuro.