PALLADIO 500: IL GRANDE ANNIVERSARIO

Le dimore ideali di Andrea Andrea di Pietro della Gondola detto il Palladio

Prima che Andrea Palladio iniziasse a progettare le sue ville – eleganti, semplici e perfettamente proporzionate – la massima espressione dell’arte architettonica era sempre stata impiegata nella realizzazione di edifici religiosi o palazzi di città. Edifici che si collocavano al centro della vita pubblica e che diventavano simbolo del potere. Palladio fu il primo architetto ad elevare la costruzione di dimore private al rango di progetti artistici.

Residenze magnifiche, nella cui estetica venivano citati i fasti dell’impero romano, destinate ad una generazione di nobili veneti che, abbandonate ormai le glorie militari delle campagne di espansione territoriale, ripiegavano verso l’entroterra veneto per dedicarsi all’otium ed alla coltivazione della terra.
La fortuna di Palladio è sicuramente un caso unico nella storia dell’arte: nato a Padova nel novembre del 1508 da una famiglia di umili origini, nel corso della sua vita varcò solo occasionalmente i confini della Serenissima Repubblica di Venezia. Eppure il suo stile architettonico ha portato una rivoluzione estetica che è riuscita a sopravvivere negli anni alle mutazioni del gusto, trovando estimatori in ogni parte del globo e facendo di Palladio l’“architetto più amato dai potenti”. La sua fama e la sua reputazione sono sopravvissute al Barocco, al gusto neo-gotico e alle critiche degli autori moderni che lo consideravano un nemico dell’architettura moralmente virtuosa.
Le ragioni del successo di Palladio sono in parte ancora da spiegare e l’occasione per approfondire la conoscenza di questa straordinaria figura è la grande mostra “Palladio 500 anni”, organizzata nell’ambito delle celebrazioni previste per il cinquecentenario della nascita dell’architetto. La mostra è silo uno degli appuntamenti dedicati al Palladio durante tutto il 2008 – progetti di ricerca, restauri ed eventi promozionali – e organizzati a Vicenza, città nella quale visse e studiò, ma anche in Inghilterra e negli Usa. Un calendario fitto di iniziative che renderanno onore a quello che è probabilmente il più influente ed il più conosciuto tra gli architetti rinascimentali, il progettista delle ville razionali ed armoniose, il Maestro del buon gusto e delle regole progettuali matematiche.

Le fonti biografiche sui primi anni di attività di Andrea Palladio non sono numerose. Non sono molto chiare le tappe che lo condussero, dopo l’apprendistato da artigiano tagliapietre, a diventare un architetto raffinato che lavorava con la mente, la squadra e la penna, capace di riportare in auge gli stilemi del mondo greco e romano. Sicuramente Andrea di Pietro della Gondola non sarebbe mai diventato il Palladio senza l’incontro decisivo con l’umanista Gian Giorgio Trissino, che inventò per lui un nome d’arte che richiamava la mitologia greca (il Palladio era una scultura dedicata ad Atena – dea delle arti – posta a proteggere la città di Troia) e che già racchiudeva in sè un manifesto di stile.
La figura di Trissino fu determinante per Palladio in molti sensi: all’inizio della sua carriera lo introdusse negli ambienti della nobiltà vicentina consentendogli di ottenere le prime commissioni importanti, come il disegno per villa Godi a Lonedo e la progettazione di Palazzo Civena a Vicenza. Ma soprattutto Trissino riuscì a rendere il Palladio partecipe del nuovo clima culturale che si andava sviluppandolo in Veneto come nel resto d’Italia: la riscoperta dei classici, la centralità dell’individuo, l’aspirazione ad una felicità più terrena che celeste che costituivano le basi del pensiero Rinascimentale. Un nuovo modo di rapportarsi alla vita che si rispecchiava anche nell’esigenza di un nuovo modo di abitare, esigenza che Palladio seppe interpretare in maniera esemplare, offendo ai propri committenti delle residenze in cui si coniugavano perfettamente estetica e funzionalità.
Grazie alla guida attenta di Trissino, il giovane architetto potè avvicinarsi direttamente anche ai grandi mastri dell’antichità. L’autore de “Il Castellano” portò con sé Palladio a Roma nel 1541 permettendogli di studiare le opere dei grandi architetti del primo Cinquecento, quali Bramante, Raffaello, Giulio Romano, Sanmicheli e Sansovino, ma soprattutto di osservare dal vivo le rovine i monumenti antichi. Da questo viaggio formativo trae un corpus di disegni che confluirà nella sua opera più famosa, “I Quattro Libri dell’Architettura” (1570), in cui Palladio annoterà, tra le altre cose, la meraviglia provata durante le visite alle costruzioni antiche, che aveva trovato “di molto maggiore osservatione degne, ch’io non mi aveva prima pensato”.

La citazione di elementi classici non è però una prerogativa dell’architetto vicentino. Quello che differenzia Palladio dai suoi contemporanei è il substrato culturale che accompagna l’elaborazione di ogni progetto. La regolarità, l’equilibrio e l’utilizzo di elementi architettonici ricorrenti sono i principi sulla base dei quali Andrea Palladio sviluppava ogni nuova committenza. Un modo di intendere l’architettura come un linguaggio, in cui ogni finestra, ogni arco ed ordine dovevano giocare un ruolo ben definito al fine di creare un insieme armonico e facilmente replicabile. Come l’amico Trissino aveva contribuito a stabilizzare la grammatica della nascente lingua italiana, intuendo l’importanza delle regole linguistiche per la formazione di un nuovo linguaggio letterario, Palladio riuscì a creare un nuovo “vocabolario” architettonico che gli consentì di realizzare opere cristalline nello stile e dense di significati. La carica di citazioni storiche e letterarie contenuta nelle sue ville e nei suoi palazzi fu sicuramente una delle ragioni del successo del Maestro vicentino, che riuscì ad offrire alla nobiltà culturalmente più evoluta un’architettura che rispecchiava i principi del nuovo umanesimo e, di conseguenza, lo stile di vita suoi proprietari. Nella sua capacità di mescolare questi pochi elementi e di adattarli alla specifica situazione, ottenendo ogni volta soluzioni originali e di grande impatto visivo, si riconosce invece l’assoluta genialità di questo artista.

Palladio lavorò principalmente in provincia di Vicenza, e proprio nel capoluogo berico si trovano numerose testimonianze dell’attività dell’architetto. Nel 1549 si è situata l’episodio che l’ha consacrato definitivamente: la ricostruzione delle Logge del Palazzo della Ragione – poi ribattezzato in stile classicheggiante Basilica Palladiana. Da allora le nobili famiglie vicentine e veneziane si sono contese l’attività del Palladio. Inizia così il periodo più intenso dell’attività palladiana. Tra il 1542 e il 1550 Palladio progettò tre magnifici palazzi per le maggiori famiglie nobiliari vicentine: palazzo Thiene, palazzo Porto e il palazzo Chiericati. L’opera della maturità, quasi la realizzazione di un sogno è invece il Teatro Olimpico in cui rivive in forma stabile uno degli edifici simbolo del mondo classico. Il progetto di Palladio ricostruisce il teatro dei romani con precisione archeologica, fondata sullo studio accurato dei testi di Vitruvio e delle rovine degli edifici antichi. Una sorta di testamento intellettuale dell’architetto vicentino, in cui Palladio raggiunge una consonanza assoluta con il linguaggio della grande architettura antica, di cui per una vita aveva cercato di ricreare la perfetta armonia.

Andrea Palladio fu capace di progetti monumentali, come la Chiesa del Redentore e il Monastero di San Giorgio Maggiore a Venezia, ma la sua forza espressiva si concretizzò in maniera privilegiata nella realizzazione delle dimore di campagna. Quando ormai era chiaro che la Repubblica di Venezia non poteva più aspirare ad un ruolo fondamentale sullo scacchiere internazionale, la nobiltà decise di ripiegare sull’entroterra veneto, dando una struttura più ordinato alla coltivazione dei propri possedimenti terrieri. Le ville del Palladio rispondevano alla necessità di questo nuovo tipo di insediamento rurale, mettendo d’accordo esigenze funzionali, strutturali ed estetiche, creando dei centri di produzione e residenza che verranno poi imitate e riproposte per secoli nel Veneto e nel mondo.
Palladio si ispira al mondo classico anche nella realizzazione delle ville. Il modello dell’architetto non furono però le dimore dei patrizi romani, ma i templi antichi, dei quali Palladio riprenderà l’elevazione rispetto al terreno con un basamento, la struttura della facciata con timpano e la scalinata frontale. Villa Chiericati a Vancimuglio rappresenta una tappa fondamentale nell’evoluzione del linguaggio progettuale, perché per la prima volta la parte centrale della facciata viene impreziosita con un vero e proprio pronao mutuato dalla struttura dei templi. Un motivo architettonico che diventerà poi un simbolo dei progetti palladiani. Ma l’influenza di questo tipo di edificio classico si ritrova anche nell’utilizzo della pianta cruciforme, utilizzata ad esempio a Villa Capra, e nello studio delle dimensioni delle stanze, studiate su semplici proporzioni matematiche.
Tra le molte bellissime ville palladiane, Villa Emo a Fanzolo rappresenta il prototipo del nuovo modo di intendere la Villa di campagna. Palladio credeva infatti fermamente nella doppia finalità delle ville, che al tempo stesso dovevano assolvere alla funzione di strutture agricole e a quella di abitazione dell’alta borghesia e dell’aristocrazia, dunque anche con funzioni di rappresentanza. Per veicolare questo messaggio Palladio arriva ad una soluzione architettonica inedita, disponendo in modo lineare le barchesse e le colombare ai due lati rispetto alla parte destinata al soggiorno dei nobili proprietari. Il corpo centrale della villa si innalza rispetto al resto dell’edificio, destinato al ricovero degli attrezzi agricoli, ma conserva una struttura lineare e priva di decorazioni che fanno di questa villa un prototipo del purismo palladiano.

Questi edifici portano con sé un significato che va ben oltre il semplice ruolo residenziale. Le ville sono la concretizzazione di quell’ideale letterario che è la vita in campagna, nato nel mondo romano, riproposto da Francesco Petrarca dal suo ameno rifugio di Arquà come ambiente privilegiato per l’attività intellettuale e diventato un tratto costante della cultura occidentale. La contrapposizione è quella classica tra città e campagna, tra natura e creazione dell’uomo. L’idealizzazione della vita in campagna – tipica del cittadino – come dimensione in cui l’uomo può dedicarsi ai piaceri della vita è diventato nei secoli un mito che si fonda sui bisogni psicologici. La villa diventa quindi non solo un elemento architettonico, ma l’espressione di un’ideologia del bel vivere.
Il dialogo tra villa e paesaggio è un elemento fondamentale del metodo progettuale palladiano: affiancando le barchesse, tipici elementi di uso agricolo, alle classicheggianti facciate delle ville, l’architetto sembra suggerire un abbraccio tra la residenza e la campagna circostante. Con Palladio la villa diventa un elemento creatore di paesaggi e prende vita quel fenomeno chiamato “civiltà della villa” destinato a segnare in modo unico e inconfondibile sia il paesaggio materiale che quello spirituale del Veneto, plasmandone profondamente la stessa identità culturale.