PENSARE LA SCENA

Intervista a César Brie

Regista, attore ed autore d’origine argentina, César Brie è da sempre impegnato nel teatro di ricerca e di contatto tra culture differenti ed in queste parole ci spiega la sua sentimentalità emotiva nel “pensare la scena”.

Il teatro come luogo d’incontro e di dialogo è un “oggetto” prezioso per la società contemporanea?

Assolutamente si. E’ davvero prezioso, anche se è tenuto troppo poco in considerazione.

Com’è nato il Teatro De Los Andes?

Il teatro De Los Andes è un esperienza nata da un’idea dell’‘87 quando ho deciso di tornare in America Latina. Lì ho cercato i fondi per realizzare questo progetto perché in Bolivia la cultura non è sostenuta in alcun modo da nessuno. Col denaro raccolto ho acquistato una casa e un terreno, dopodichè, con molte difficoltà, ho costruito un grande spazio che funziona da teatro. Poi abbiamo creato un gruppo di teatro e rappresentiamo opere portandole in lungo e in largo per l’intera America Latina e anche in Europa.
Le opere che insceniamo sono di teatro classico, come “Romeo e Giulietta” e “l’Iliade”, ma insceniamo anche opere di teatro contemporaneo, spesso scritte da me, legate a realtà e situazioni che ci interessa indagare. E certamente attraverso il nostro impegno cerchiamo di realizzare questo dialogo, almeno in parte.

Ed i laboratori teatrali?

Spesso teniamo dei laboratori di formazione per attori. il tema che ultimamente mi preme di più è duplice: da un lato come pensare la scena ed insegnare, soprattutto ai giovani, strutture di pensiero riguardo cos’è il teatro oggi. Dall’altro insegnare agli attori come essere trasparenti e professionisti nell’antico senso di professare una motivazione. Il nostro è un teatro che fa una ricerca dando un ruolo sociale e culturale all’attore, in quanto intellettuale, e che cerca di avere testimoni unendosi agli spettatori.

Com’è stata la risposta ai suoi seminari ed alle sue rappresentazioni?

In America Latina molto forte. In Bolivia siamo diventati un punto di riferimento e lavoriamo a contatto con molta più gente che in Europa dove, talvolta, il pubblico scarseggia.
Lì rappresentiamo in molti luoghi differenti con un coinvolgimento completo del pubblico. Cerchiamo di fare spettacoli che siano i più chiari possibile, distinguendo sempre tra ciò che è semplice e ciò che è una semplicità legata ad una trasparente profondità. Differenti livelli culturali prendono e donano in un interscambio che porta il pubblico a rivedersi in ciò che facciamo riflettendo su se stesso.

Ed in Italia?

In Italia, tutto sommato, è andata bene. La risposta è stata sempre molto accorata e sentita. E per me rappresentare qui non è solo “battere cassa” ma è anche confrontarsi per scoprire se quello che diciamo è universale e non soltanto locale.

In un momento un po’ critico per la cultura in generale, in particolare in Italia, il teatro soffre più o meno delle altre discipline artistiche?

Credo ne soffra tanto quanto le altre. I tagli dei fondi ed il disprezzo per gli artisti obbliga gli stessi artisti a chiudersi sempre più. Oggi tutto il teatro soffre per la mancanza d’interesse della classe dirigente nonostante il pubblico sia sempre attivo nelle risposte ai richiami del teatro. Non è mai vero che il pubblico, quando è in crisi economica, non va a teatro. Il teatro è un alimento per lo spirito fatto d’intrattenimento alto. Il problema è quando l’intrattenimento s’appella agli istinti “bassi”, alla volgarità, ai pregiudizi, al razzismo, allo sciovinismo, quel teatro è da evitare, quella è una sotto cultura che ha più spazio nei media. La televisione, purtroppo, poteva essere un grande mezzo di educazione, ma invece è piena di questo.