Spider man ha dei problemi nel gestire Peter Parker e Peter Parker ha dei problemi nel gestire Spider man. Ma le seccature che derivano dalla sua doppia identità sono già state affrontate nel secondo capitolo della serie, dove lo si vedeva costretto a lavare la sua tuta in una lavanderia a gettoni. La sua doppia vita non gli procurava, almeno in apparenza, strani disagi psichici, al massimo un bucato bianco tutto macchiato di blu e rosso e qualche tutina infeltrita. Nell’ultimo capitolo della serie, nei cinema in questi giorni, il nostro Spider man ha tre diverse identità che concorrono per il possesso totale della persona.
Qualsiasi trilogia che si rispetti ha il suo tema portante e fondante: abbiamo la nascita dell’eroe (sotto l’egida della frase “da un grande potere derivano grandi responsabilità”) nell’Episodio Uno, lo scontro tra superUomo che perde i suoi poteri e uomo normale che sapeva un tempo di essere Über nella seconda puntata e nella terza, annullato definitivamente ma metaforicamente il supporto carnale di un fin troppo buono Peter Parker, una lotta tra le due anime del supereroe.
Il tema del doppio ha sempre stimolato la letteratura, le arti visive e il cinema, e si è sempre legato a una trattazione più ampia sulla nozione di perturbante, che inquieta, nella sua valenza di spaventoso, tutto quanto ci è noto da lungo tempo, tutto ciò che ci è familiare.
Quando ci si trova di fronte al doppio, siamo in preda a una incertezza esistenziale perchè tutto quello che doveva essere relegato nelle profondità della psiche sale in superficie come ritorno del rimosso e crea cortocircuiti tra la parte razionale e quella irrazionale.
Quando il doppio si instilla nella personalità sino a scinderla, il giudizio di ciò che dovrebbe essere negletto sembra scomparire. Il tema del doppio ha a che fare con il problema dell’identità, che all’origine nasce con l’identificazione della nostra immagine nello specchio.
Didascalica è, in questo caso, la nascita del doppio di Spider man, costellata da immagini riflesse sulle superfici a specchio dei grattacieli di New York. La consapevolezza dell’essere stato soggiogato dalla parte nera (the dark side) avviene allo specchio, là dove ci si confronta con la pluralità dell’Io.
Ci sono diversi tipi di doppio che il cinema ha analizzato: ci può essere il doppio con il motivo del sosia come in Lo studente di Praga (1913) di Stellan Rye oppure il doppio come raddoppiamento e suddivisione dell’identità come in Dr. Jekyll e Mr. Hyde (Rouben Mamoulian, 1931) dal romanzo di Stevenson e ancora il doppio di Kim Novak in Vertigo di Hitchcock (pellicola citata da Raimi nella scena del campanile nel momento in cui Spider man si libera della sua nemesi).
Ma il richiamo del lato oscuro a cui si sottostà volontariamente viene dritto dalla saga di George Lucas in cui Anakin Skywalker si trasforma in Darth Vader. Entrambi condividono il nero come colore prediletto. Se in Dr. Jeckyll la trasformazione è scatenata da una pozione auto-prodotta, in Spider man è scatenata da una strana massa gelantinosa nera che proviene dallo spazio. Questo perché, tra tutte le fisionomie superomistiche, Spider man sembra essere il più candido, e dunque la sua personale discesa negli inferi della vendetta doveva, gioco forza, provenire da un mondo lontano, da una logica che non gli appartiene e che declina (dopo averci sguazzato dentro) aggrappandosi tenace alla possibilità di scelta. Il male ha una capacità ipnotica e giocare con la sua incalcolabile potenza ha strani effetti magnetici.
Un tema visivo, inoltre, ricorre in tutti e tre gli episodi ed è la summa dei vari cambiamenti: la passeggiata è la cifra della mutazione. Può essere dondolante tra i grattacieli una volta che si è scoperto il potere (1), tristemente normale con gli occhiali da miope mentre inciampa qua e là (2) o spavaldamente arrogante (ma diciamola tutta, decisamente la più accattivante) e velata di follia (3), quando si è lasciato spazio al lato animalesco e irrazionale.
Bentornato, Spider man di quartiere!