“Quel fantastico peggior anno della mia vita” di Alfonso Gomez-Rejon

Un racconto di formazione tra dramma e commedia

Vincitore sia del premio del pubblico che del gran premio della giuria allo scorso Sundance Film Festival, Me and Earl and the Dying Girl di Alfonso Gomez-Rejon è stato presentato anche alla 33a edizione del Torino Film Festival. È una drama-comedy originale e ben impostata, che tratta temi importanti come la morte, la malattia (o anche la “semplice” l’adolescenza) con rara maturità.


Il Sundance Film Festival è forse l’evento cinematografico più importante per quanto riguarda il cinema indipendente. Non sorprende dunque che nell’edizione di quest’anno ad accaparrarsi due dei premi più prestigiosi sia stata una pellicola tanto insolita quanto piacevole come Quel fantastico peggior anno della mia vita (curiosa la traduzione per la distribuzione italiana di Me and Earl and the Dying Girl), drama-comedy adolescenziale scritta e diretta da Alfonso Gomez-Rejon, al suo secondo lungometraggio da regista dopo una lunga gavetta da assistente alla regia che l’ha visto collaborare con autori del calibro di Alejandro González Iñárritu e Kevin MacDonald.


Greg è un adolescente come tanti altri, indeciso sulla scelta universitaria, che ama non farsi notare troppo, restando comunque simpatico un po’ a tutti. Nel tempo libero lui e il suo amico Earl girano remake amatoriali di classici del cinema d’autore (da Herzog a Kurosawa). La svolta per lui arriva quando, spinto dalla madre, comincia a passare del tempo con Rachel, una ragazza della sua età che ha appena scoperto di avere la leucemia. Durante questa “amicizia forzata” (come è definita nelle stesse didascalie del film) Greg comincia gradualmente a cambiare la sua visione del mondo che lo circonda, imparando importanti lezioni sull’amicizia e sui rapporti umani.

La storia degli adolescenti come protagonisti al cinema ha avuto i suoi alti e bassi. Negli anni ’80 i film della cosiddetta “brat pack generation” (Risky Business, Breakfast Club, Sixteen Candles e altri) erano bene o male riusciti a far affermare la presenza dei teenagers sul grande schermo, seppur con una certa dose di stereotipi. Poi, a partire dagli anni ’90, il cinema indipendente ci ha presentato adolescenti problematici, tormentati e allo sbando, con le filmografie di geni controversi come Larry Clark o Harmony Korine. Dopodiché, gli “adolescenti cinematografici” sembrano essersi divisi, con le debite eccezioni (una su tutte Juno) principalmente in due modelli/stereotipi: il genio ribelle e incompreso da una parte, il buono a nulla festaiolo dall’altra (American Pie, Superbad).

Dove si colloca allora Quel fantastico peggior anno della mia vita? Da nessuna delle due parti, e sta proprio qui il suo punto di forza: Greg è un personaggio semplicissimo, ma non per questo stereotipato, anzi ci riesce davvero facile immedesimarci in lui, perché ci viene presentato senza filtri, più confuso che tormentato. Il suo modo di vedere il mondo ci viene mostrato da vicino, in maniera chiara e lineare, con tecniche espressive originali e azzeccate (come le sequenze in stop motion). Greg è un ragazzo troppo spaventato dal suo futuro per affrontarlo senza filtri, al punto da non riuscire a concepire alcun tipo di contatto con Earl (che definisce “un collega”) se non attraverso i film che creano assieme. Comprendendo e conoscendo Greg così bene, possiamo seguire al meglio anche il percorso di formazione che compie durante il periodo di vicinanza con Rachel, che gli insegnerà a preoccuparsi del suo futuro e a prendersi cura di chi gli sta attorno. Il tema della malattia è trattato in modo maturo, senza eccessivi toni melodrammatici, con un realismo e un’asciuttezza rari, pur conservando un equilibrio impeccabile tra dramma e commedia che culmina con un climax ascendente nel finale, dove le lacrime non tardano ad arrivare.

La regia, che per tutto il film non abbandonerà mai il punto di vista di Greg, aiutando ulteriormente l’immedesimazione, è impreziosita da piccoli colpi di genio alla Wes Anderson, come movimenti di macchina a 360° o capovolgimenti dell’inquadratura. La fotografia, che per la maggior parte del film ci presenta colori di per sé vivaci ma leggermente incupiti dal contesto narrativo, da un certo punto in poi della narrazione varia di scena in scena a commento degli stati d’animo del protagonista. E se il direttore della fotografia è una figura importante come quel Chung-hoon Chung che ha fotografato Oldboy, non è da meno il compositore della potente colonna sonora, ovvero il re della musica ambient Brian Eno. 

In conclusione, Me and Earl and the Dying Girl è un film che riesce a parlare di temi estremamente seri come la malattia e la morte senza cadere nel banale, lasciando spazio a importanti riflessioni tipiche del racconto di formazione, il tutto senza intaccare gli elementi comici e riuscendo quindi a regalare uno spettro di emozioni forti allo spettatore.

Titolo originale: Me and Earl and the Dying Girl
Nazione: U.S.A.
Anno: 2015
Genere: Drammatico
Durata: 104′
Regia: Alfonso Gomez-Rejon
Sito ufficiale: www.meandearlmovie.com
Cast: Olivia Cooke, Nick Offerman, Jon Bernthal, Connie Britton, Molly Shannon, Thomas Mann, Bobb’e J. Thompson, Matt Bennett, Katherine C. Hughes, Masam Holden, Chelsea T.,Zhang, Mike Walker
Produzione: Indian Paintbrush, Paragon Studios
Distribuzione: 20th Century Fox
Data di uscita: 03 Dicembre 2015 (cinema)