“REQUIEM FOR DETROIT?” di JULIAN TEMPLE

La prima città post-americana

Torino 28. Festa Mobile – Figure nel Paesaggio
Detroit era la quarta città più grande d’America. Qui sono nati l’American dream e i simboli del consumismo: l’automobile, i semafori, le autostrade, i centri commerciali. Oggi a Detroit intere aree sono abbandonate, quartieri fantasma trasformati in terra di nessuno. Ma non è detta l’ultima parola: forse non è ancora ora di suonare il Requiem for Detroit.

Come è avvincente questo ritratto di Detroit vista con gli occhi di Julien Temple, regista britannico che posa il suo sguardo europeo, disincatato e critico, su un mondo in disfacimento in cui però ci sono persone “con una grande resilienza“, che non vogliono lasciare morire la loro città.

Julien Temple arriva al 28° Torino Film Festival per ritirare il premio Cult, vinto nell’edizione 2009 con Oil City Confidential, storia della pub rock band Dr. Feelgood, e porta con sé il suo nuovo documentario Requiem for Detroit (“girato perché ero a corto di soldi…”) un viaggio attraverso la Detroit su cui è passato un “Katrina finanziario”.

La quarta città d’America si sviluppò nei primi anni del Novecento ad opera dei tre colossi dell’industria automobilistica – General Motor, Chrisler e Ford – a misura di auto: senza la macchina eri “un handicappato, non potevi andare da nessuna parte“, racconta uno dei protagonisti.

Oggi i due milioni di abitanti sono ridotti a meno della metà, 800 mila bianchi hanno lasciato la città: le autostrade offrono una visione da film post apocalittico, non esiste più l’ora di punta. 8 Mile, resa famosa dall’omonimo film di Curtis Hanson del 2002 intepretato da Eminem (e Lose yourself ricorre spesso nella colonna sonora), è la strada che divide due mondi: da una parte i bianchi, dall’altra gli afroamericani. Una netta divisione razziale che affonda le sue radici negli anni in cui Henry Ford fece arrivare dagli Stati del Sud centinaia di migliaia di persone con il miraggio di sfuggire alla fame e alla miseria per un salario orario doppio di quello normale.

Un afflusso incontrollato la cui eredità è oggi, tra le ex fabbriche deserte e pericolanti, il maggior tasso di criminalità degli Stati Uniti, scuole chiuse che lasciano senza istruzione interi quartieri, intere vie ridotte a famtasmi del passato.

Ma non tutto è perduto. La domanda del titolo sottolinea che questa “non è la fine di Detroit – ha spiegato il regista Julien Temple al pubblico – è la fine di una versione di Detroit e d è ancora possibile che questa città risorga dalle sue ceneri“. I segnali sono molti e molto diversi tra loro: orti urbani che crescono tra il cemento, ma anche edifici fatiscenti e intere strade che si trasformano in tele e tavolozze per street artist e performer.

Detroit è qui descritta per farne un monito a tutte le città industriali: a Detroit è nata la catena di montaggio, il concetto di produzione di massa e di periferia residenziale, che ha contribuito a creare e costruire il benessere del XX secolo. Così velocemente come si è sviluppata è stata abbandonata dalla popolazione. Ma il crollo repentino ha fatto emergere la capacità della gente di proiettarsi verso il futuro. Chi non è scappato è diventato parte di un nuovo modello di vita per tutte le città “post-americane”, in cui gli alberi che conquistano faticosamente nuovi spazi sono la prova che quello che c’era prima ci sarà, e resterà, anche dopo il disastro.

REQUIEM FOR DETROIT
regia: Julien Temple
montaggio: Caroline Richards
interpreti: Julien Temple (voce narrante/Narrator), Grace Lee Boggs, Lowell Boilleau, David Gartman, Tyree Guyton, Martha Reeves, John Sinclair, Paul Thal, Logan X
produttore: George Hencken
produzione: Films of Record
Durata: 78 minuti
Uscita: 28° Torino Film Festival