RetroGusti Musicali
Anno di grazia 1985. Gordon Mathew Sumner ha chiuso l’avventura Police: molti ancora non credono alla fine del gruppo, ma l’anno successivo il progettato nuovo disco finirà per trasformarsi in un greatest hits con la sola aggiunta di una Don’t Stand So Close to Me rispolverata con tanto di drum machine (il batterista Stewart Copeland era infortunato al momento della registrazione). Sting, insomma, vuole andare avanti da solo: lo avevano intuito in molti (suoi 9 brani su 11 in Sinchronicity ), lo capiranno tutti con il passare degli anni e con le dichiarazioni dei due ex-compagni.
A onor del vero la scelta di chiudere il capitolo Police nel 1984 si rivela la mossa più azzeccata per i tre finti biondi, che si fermano all’apice della popolarità ed evitano ogni possibile e probabile capitombolo. E se il trionfo è suggellato da Every Breath You Take, spesso scambiata per canzone romantica, in realtà incentrata sull’ansia di un controllo claustrofobico, Sting solista riparte dalla situazione opposta: If You Love Somebody Set Them Free, se ami qualcuno lascialo libero. La classifica non coglie la differenza e il singolo vola alto.
Il livello qualitativo della musica è garantito da un team di musicisti di colore provenienti dal mondo del jazz: Kenny Kirkland alle tastiere, Darryl Jones al basso, Omar Hakim alla batteria e Branford Marsalis al sax. I testi sono spesso politicamente impegnati, altre volte più rilassati: è comunque innegabile che il nostro ha raggiunto la sua maturità compositiva.
L’album è decisamente eclettico: si va dalla classica di Russians – sull’allora spinoso problema della guerra fredda – con un tema preso in prestito da Prokofiev, al jazz notturno di Moon Over Bourbon Street, al soft reggae di Love is the Seventh Wave.
Per alcuni Sting sembra voler rinnegare il suo passato e giocare con il ruolo di intellettuale del pop: a onor del vero la sua è una precisa posizione assunta da sempre e, caso mai, messa in secondo piano negli anni dei Police (di cui, tra l’altro, si offre una rilettura per Shadows in the Rain). Come afferma Paolo Bertando (Sting/Police, Arca Editrice, 1986): «L’ambizione, frammista d’egocentrismo e salda fiducia in sé, si traduce in un’insanabile voglia di salire sul podio, poggiare sul piedistallo, essere il primo: un ottimo presupposto per il fallimento. Ma Gordon Sumner è altro che sfrenato, è proprio l’intelligenza a permettergli di controllare la parte più smodata di sé. Salvo lasciarla in libertà se necessario, se le circostanze aiutano». Non sarà sempre così, né i dischi successivi saranno sempre all’altezza, ma questo suo esordio da solista è davvero brillante, tanto che si ascolta volentieri a vent’anni di distanza.
Album consigliati:
(Police)
Regatta De Blanc, A&M, 1979
Ghost In The Machine, A&M, 1981
Sinchronicity, A&M, 1983
(Sting)
Nothing Like The Sun, A&M, 1987
Ten Summoner’s Tales, A&M, 1993
All This Time, A&M, 2001