“ROMEO E GIULIETTA: THE MUSICAL”, DI SARA RIGHETTO E LUCA FATTORETTO

La celebre opera shakespiriana è in scena al Teatro Elios di Scorzè fino al 7 gennaio

Va in scena in queste settimane al Teatro Elios di Scorzè (Venezia) “Romeo e Giulietta: the Musical”, una produzione originale realizzata dall’Associazione Culturale “Rosso Porpora” e scritta da Sara Righetto e Luca Fattoretto. Due professionisti, lei cantante e lui musicista, al servizio di una storia immortale (che per lo spettatore moderno deriva tanto da Shakespeare quanto da “West Side Story” e dall’adattamento di Baz Luhrman) e di una compagnia che definiamo amatoriale solo per rigore di cronaca, perché a sentirli cantare e a vederli muoversi e ballare decisamente non si direbbe.

Sul terreno scivoloso della rilettura shakespeariana, Righetto e Fattoretto si muovono con agilità: andando al cuore della vicenda dei due innamorati di Verona, semplificando la struttura narrativa a favore di un arrotondamento dei personaggi, animando palco e platea con il fuoco dei giullari che si va spegnendo mentre l’azione prosegue inesorabile verso la tragedia (salvo poi rinnovare in chiusura l’atmosfera circense degli inizi, in un finale circolare che strappa letteralmente applausi e lacrime), gli autori sottolineano l’universalità di un sentimento che è latore di vita e di morte e ripropongono all’attenzione il contrasto tra l’identità sociale e quella individuale, tra l’essere e l’apparire, tra l’onore e la passione.

In un clima come quello attuale, in cui gli scontri fra etnie diverse o quelli intestini fra caste sono all’ordine del giorno, questo “Romeo e Giulietta” ha il sapore del rito: serve a raccontare ed esorcizzare un male moderno, che vede l’appartenenza trasformarsi da collante ad ideologia, e quindi da contesto di aggregazione a pretesto per nuovi soprusi. Nella rappresentazione, la quarta parete, che separa gli attori dal pubblico, è infranta sin dalle prime note. I personaggi che scendono fra i presenti intimiditi parlano, cantano, cercano (tendenzialmente è Giulietta l’oggetto delle ricerche: lei, spesso fuori scena perché già fuori dagli schemi, già altrove); chiamano chi è seduto a partecipare, testimoniare e, fuori dalla sala a spettacolo finito, a raccontare e ricordare.

Il tutto nell’adesione totale ad un genere, quello del musical, che in Italia sta godendo di nuova linfa e che viene affrontato, dagli autori e dal cast, con autentica passione e partecipazione. Coronamento di un lavoro durato due anni, la prima serie di rappresentazioni (iniziata il 18 e 19 novembre, proseguirà il 2 e 3 dicembre e il 6 e 7 gennaio, sempre a Scorzè) si regge sulla capacità non comune di coordinare e mettere a frutto talenti, gusti ed abilità che di amatoriale hanno ben poco. Merito di una regia attenta (della stessa Sara Righetto), di musiche sempre calde ed orecchiabili (di Righetto e Fattoretto), di un libretto mai banale (che evita tutti i luoghi comuni del genere, specialmente nei duetti fra Giulietta e Romeo).

Azzeccata la scelta della scenografia (curata da Silvia Cattiodoro), che valorizza nel migliore dei modi gli spazi non immensi del palcoscenico dell’Elios: due livelli, con la ‘piazza’ principale che si apre sotto la camera da letto di Giulietta, ed una parte mobile che trasforma una scalinata nella chiesetta di Frate Lorenzo. Di non trascurabile impatto la scelta di collocare le tombe dei due innamorati esattamente sotto le assi del palcoscenico, le stesse assi sulle quali danzano giullari e ballerini e tutta l’azione si svolge: come se la morte di Romeo e Giulietta fosse sempre presente e prefigurata sin dall’inizio, come se tutto lo spettacolo ruotasse e si sviluppasse sopra ed attorno a quel destino inevitabile ed irrinunciabile.

Suggestiva, ma da perfezionare, la direzione delle luci, mentre il missaggio audio non rende giustizia alle voci maschili, e a quella di Mercuzio (Giovanni Maren) in particolare. Chi ha avuto il piacere di sbirciare dietro le quinte, ha apprezzato i fantasiosi espedienti del costumista Demis Marin, che ha creato abiti splendidi con trucchi da vero illusionista.

Straordinario il cast vocale (parliamo della formazione del 19 novembre, gli assortimenti ulteriori con altri interpreti verranno sperimentati nelle successive repliche), con la componente femminile nettamente superiore a quella maschile, eccezion fatta per uno sbalorditivo Romeo interpretato da Antonio Orler, appena quindicenne, futuro basso, e già capace di dotare il suo personaggio di tutte le sfumature del caso, dal giocoso al tragico, senza una minima sbavatura. Ottima anche Giulietta, la diciassettenne Serena Schiavato, voce limpida, cristallina, precisissima, che trasmette gioia e dolore, voglia di libertà e senso di un imminente destino fatale. Carisma e potenza sono le carte vincenti della balia Sara Capobianco (prosperosa e travolgente, con una riuscita vena di comicità, è la prima a scaldare il pubblico dopo i necessari primi minuti di acclimatamento) e della madre di Giulietta, Elisa Bortoluzzo, forse la migliore in quanto a presenza scenica.

Sarebbe troppo lungo citare tutti i protagonisti, le loro infinite ed eterogenee caratteristiche che rendono caleidoscopico lo spettacolo: non resta che rimandare gli interessati alla visione in sala. Non va tralasciato, però, l’apporto delle coreografie di Sara Giurin, che affida al corpo di ballo ruoli ora ‘fisici’ (la ludicità, l’energia, la fatica, il sudore) ora ‘metafisici’, quando il balletto si fa speculare all’azione, e i personaggi che cantano si sdoppiano in un doppelganger danzante che aggiunge alla densa miscela un tocco di spaesamento onirico. Una volta sepolti gli amanti di Verona sotto il palcoscenico, si riparte col brano di apertura: ritorna la festa, ritornano i giullari, i personaggi sfilano, riappaiono anche Romeo e Giulietta, forse i loro doppi, forse loro stessi, a prendersi il meritato applauso. La disillusione è compiuta: è stata tutta una messa in scena, la storia e la Storia sono circolari, chi era morto ora ci sorride, quindi la tragedia si è conclusa invano, senza catarsi. È il teatro, che prima costruisce i sogni e poi li infrange, che racconta storie pur sapendo che gli esseri umani non impareranno mai.