E’ uscito di scena in maniera brusca, impetuosa, come un vento turbinoso che
scende dall’alto. Mario Monicelli non ha retto all’urto della malattia. Come in
una tragedia greca, ha preferito sfidare la morte, prima che arrivasse. E
affrontarla come il suo Brancaleone da Norcia, quel buffo combattente della
vita come in Cervantes.
Ci ha educato al senso leggero della morte, Mario, ci
ha fatto sorridere dietro al feretro dell’amico scomparso con Tognazzi ed
Adolfo Celi, in quel capolavoro di Amici miei che Pietro Germi gli lasciò in
eredità prima che morisse. Ridere della morte e piangere della vita, come nel
Borghese piccolo piccolo. Grazie, Mario, per i film che “hai donato all’umanità”. Questa gratitudine gliela avevamo confidata in un paio di occasioni
al Lido, durante la Mostra del Cinema. E lui, quasi incredulo, ce lo lasciava
esprimere, ma “senza esagerare”.
Aveva una statura esile, canuto e smagrito negli ultimi anni. Per il suo ultimo film La rosa del deserto (del 2006), lo
avevamo invitato a Rionero per la presentazione. Ma purtroppo aveva affrontato
due lunghi viaggi, in quel periodo: uno a Teheran ed uno in Sudamerica. Non si
poteva abusare del suo vigore. Quando qualcuno lo comparava ad un altro longevo
maestro, il portoghese Manoel De Oliveira (ha oggi 103 anni e continua a fare
film), Monicelli si arrabbiava: gli dava fastidio parlare di persistenza e di
paragoni. Parlava amabilmente della vita, anche se filtrava in lui una
adolescente malinconia. Un ragazzo con l’esperienza di un novantenne. Questa la
sua vita, questi i suoi film, questa la sua e nostra ricchezza.
Mario Monicelli era nato a Viareggio il 16 maggio 1915, come regista e
sceneggiatore è stato uno dei massimi esponenti della cosiddetta commedia
all’italiana, quella che ancora oggi fa scuola in mezzo mondo. Con lui, Dino
Risi e Luigi Comencini, e tutta una schiera di maestri che hanno attraversato l’universo dei sentimenti con leggerezza. Monicelli muove i primi passi nel mondo
del cinema assieme a Alberto Mondadori, con cui dirige nel 1934 il
cortometraggio Cuore rivelatore, a cui fa seguito, sempre nello stesso anno,
un mediometraggio muto, I ragazzi della via Pàal, presentato e premiato alla
Mostra di Venezia.
Sotto lo pseudonimo di Michele Badiek, Monicelli dirige nel
1937 il suo primo lungometraggio, insieme ad alcuni amici, dal titolo Pioggia
d’estate, con l’attore Ermete Zacconi ripreso nella sua villa di Viareggio. Il
suo esordio ufficiale alla regia avviene in coppia con Steno, con una serie di
film che i due registi realizzano su misura per Totò, tra i quali spicca il
celebre Guardie e ladri (1951). Monicelli ha firmato alcuni capolavori del
dopoguerra, collaborando con tutti i più importanti attori italiani, da Alberto
Sordi, Totò, Aldo Fabrizi, Vittorio De Sica, Sophia Loren, Amedeo Nazzari,
Marcello Mastroianni, Vittorio Gassman, Ugo Tognazzi, Silvana Mangano, Renato
Salvatori, Adolfo Celi, a Walter Chiari, Elsa Martinelli, Anna Magnani, Nino
Manfredi, Paolo Villaggio, Monica Vitti, Enrico Montesano, Gigi Proietti,
Gastone Moschin, Giancarlo Giannini, Philippe Noiret, Giuliano Gemma, Stefania
Sandrelli, Ornella Muti, Ivo Garrani e Gian Maria Volontè.
I soliti ignoti,
del 1958, è considerato il primo vero film della commedia all’italiana. L’anno
successivo, Monicelli gira quello che la critica mondiale considera il suo
capolavoro, La grande guerra, Leone d’Oro alla Mostra del cinema di Venezia
del 1959 e sua prima nomination all’Oscar. La seconda nomination all’Oscar
arriverà nel 1963 con I compagni. Celebri anche L’armata Brancaleone (1966)
e Brancaleone alle crociate, da non dimenticare poi Il Marchese del Grillo,
La ragazza con la pistola (terza nomination all’Oscar, film del 1968, con una
immensa Monica Vitti), Romanzo popolare (1974) e i primi due capitoli della
trilogia di Amici miei (1975), Un borghese piccolo piccolo (1977),
Speriamo che sia femmina (1986) e Parenti serpenti (1992).
Sono pochi i film che hanno segnato la nostra vita fin dall’adolescenza: fra
Bergman e Fellini vi è La grande guerra, ritratto più integro e leale dell’italiano non ci sarà.
Al maestro Monicelli, questi versi di “Congedo” di Albino Pierro.
Domani, / questo affannarmi a scrivere, / diventerà per gli altri forse il
mare, / e ognuno avrà una vela e un dolce vento / per navigare.
Io certo sarò nel fondo / come un’antica nave, / e avrò la gioia dei padri
sereni e sigillati da un silenzio / che può ancora guidare
Foto a cura di Romina Greggio Copyright © NonSoloCinema.com – Romina Greggio