Roger Benetti al Museo Civico di Bassano

Dentro l'incisione

Una lastra incisa come se disegnasse sopra una parete di un muro. Roger Benetti appare un graffitista di strada che ricorre alla tecnica tradizionale dell’incisione, al suo bianco e nero come se riuscisse a riempirlo di colori sgargianti, con tutta una sapienza e relative rese formali che ne connotano i risultati e di cui ha appreso i segreti nel procedere assecondando nuove sperimentazioni.

Direi quindi che per temperamento più che per tardiva formazione, Benetti, di primo acchito, appare un trasgressivo, insofferente alle convenzioni culturali successivamente assimilate; sicuramente un anticonformista dotato di un’ironia che l’aiuta a non prendere se stesso né gli altri troppo sul serio e che tuttavia, a un certo punto della sua crescita e formazione, ha avvertito la necessità di darsi delle regole, iscrivendosi e frequentando l’Accademia di belle arti di Venezia.

Lì ha trovato docenti con i quali poi confrontarsi e condividere scelte artistiche come è avvenuto nel caso di Paolo Tessari e Gianfranco Quaresimin con il quale poi è entrato in sintonia per alcune analoghe soluzioni formali iniziali, condividendo entrambi un interesse evidente sia per la pittura che ovviamente per l’incisione. Forse la prima forte attrazione l’ha riversata proprio nei confronti della pittura e ciò può aver condizionato la successiva scelta di orientarsi a un approfondimento della grafica, ambiti artistici di certo, nel suo caso, complementari, ma che ha voluto poi affrontare distintamente, ciascuno in termini autonomi. Artista già dotato di notevole istinto creativo con suoi definiti interessi tematici e di ricerca, qui ha avuto modo di affinare le sue conoscenze tecniche che gli hanno consentito di addentrarsi più attivamente nell’ambito dell’incisione.

La prima scelta maturata nei confronti di una forte predisposizione informale ed astratta riempitiva della composizione, lo ha poi condotto a maturare un progressivo avvicinamento alla figura, con uno spiccato interesse per il corpo umano, affrontato soprattutto in gruppi aggrovigliati e con qualche indugio nella sottolineatura di alcuni particolari, ogni volta diversi, che ne evidenziano l’impostazione realistica e a volte anche di più accentuata derivazione espressionista. In tal senso si avverte nella sua opera il ricorso a un horror vacui che parte da un groviglio astratto per riconciliarsi con un punto di arrivo del segno che ricuce una precisa ricostruzione formale figurativa di un insieme poetico-narrativo aggregante. E’ proprio questa la dimensione nella quale Roger Benetti si avventura condividendo, nella maggior parte dei casi, tematiche di ambito politico-sociale. In tale propensione manifesta evidenti richiami a quel filo rosso” impegnato” dell’arte che da uno dei precursori come Francisco Goya, arriva fino a Picasso, agli espressionisti, soprattutto tedeschi, per sconfinare poi tra quelli che potremmo considerare come i pionieri dell’odierno graffitismo che possono essere idicati nei grandi muralisti messicani quali sono stati, in particolare, Siqueiros e Orozco. Ed è significativo che Benetti abbia scelto di vivere, almeno da alcuni anni a questa parte in Messico, precisamente a Oaxaca dove risiede con la moglie messicana.

La palestra nella quale si è formato e allenato rimane il grande cantiere pluralista del surrealismo dove una reale distinzione tra l’automatismo del segno che conduce all’informale e il senso di ricondursi al riconoscimento formale della figura come icona, è così evidente soprattutto in Max Ernst e René Magritte. Assemblaggi irrazionali che tuttavia tratteggiano il magico che poi si evidenzia in Borges o in maniera teatrale in quelle che potremmo definire le performances magico-psicoanalitiche di Alejandro Jodorowsky. Diciamo che l’artista rimane sempre molto legato alla fisicità del corpo umano, alla sua concretezza carnale che concettualmente lo lega a quella matericità che si riscontra in Ernst ma successivamente anche in Fautrier.

L’assunto sociale-politico, direi ancora ideologico, è imprescindibile per Roger Benetti anche quando avverte la necessità di indagare i margini di sconfinamento e sempre in agguato nel coinvolgerci, meno chiari, più indeterminati e imprevedibili della follia. In questo senso il suo interesse si avvicina all’arte anonima degli outsiders, nella storia dell’arte senza nomi già oggetto delle ricerche di Jean Dubuffet e del movimento da lui stesso concepito con analoghe finalità d’indagine dell’Art Brut. E’ tale parte del pensiero inconsapevole che gli interessa tanto da addentrarsi in un certo periodo all’interno di casi psichiatrici conclamati e registrare con assoluto realismo le tracce della pazzia nei volti dei malati di mente attraverso un’accurata campagna fotografica su tali soggetti.

Spesso Roger Benetti utilizza la fotografia per il suo lavoro, trasponendo tali immagini nelle matrici inserendole casualmente nel suo racconto in cui si sovrappongono i ricordi di un’infinita narrazione in cui solitamente una visione drammatica cuce una sua diretta partecipazione agli eventi. Benetti applica una tecnica tutta sua, da montaggio cinematografico di impronta realistico e allo stesso tempo di tipo casuale/surrealistico dove, comunque, si riscontra la totale immersione e partecipazione agli eventi. In tal senso la sua poetica si compenetra nella quotidianità di tutti i giorni, sembra farne un tutt’uno indissolubile, indispensabile e necessaria coincidenza. Tale è il file rouge che tesse la trama di questa ultima proposta nei pur diversi temi affrontati dall’artista in un’unitaria diffusa cifra di un comune linguaggio.

Il dramma della guerra e soprattutto della violenza, ovunque nel mondo possa manifestarsi, anche nella diffusione del narcotraffico o della prostituzione, il dramma della follia o dei vizi depravati, fino a investire figure intellettualmente lucide e profetiche come Pier Paolo Pasolini, vittima egli stesso di tali drammi e violenze perpetrate contro di lui, secondo una volgare cronaca a seguito di una vita dissoluta ma senza dubbio pur coraggiosamente sovraesposta in prima persona con palesi denunce finalizzate al conseguimento di una società migliore. Proprio su questa linea di continuità e condizione si fissa la proposta perseguita nell’opera di Roger Benetti che fa sue tali istanze riprendendo con un ormai suo tipico linguaggio le tracce di pensiero indicate da Pasolini nella sua poetica così dentro agli eventi e alle cose.

Roger Benetti, Mostra a Bassano del Grappa dal 10 febbraio 2014, Museo Civico Remondini. Ingresso libero.