“SCHATTENWELT” di Connie Walther

Il mondo delle ombre

Friburgo, storia di Widmer, ex-terrorista membro della seconda generazione della RAF.
Schattenwelt (ombre lunghe) è uno dei due film presentati al festival di Roma in cui si parla di Rote Armee Fraktion, la Banda che prese il nome dai suoi leader e che negli anni Settanta insanguinò la Repubblica federale.

L’uomo, detto Saul, è rimasto in carcere 22 anni per scontare la pena per un sequestro in cui qualcosa andò storto e ci scapparono due vittime, von Seichfeld direttore di banca, ed un suo dipendente.
Ellen, il suo avvocato, lo sistema in uno stabile-alveare dove l’uomo dovrebbe ricominciare a vivere, ma il suo sguardo cupo non fa presagire nulla di buono fin dalle prime inquadrature. Il suo look è fermo agli anni di piombo, in casa ha voglia di spaccare tutto, è di pessimo umore questo Widmer. E come dargli torto? Ha scritto una lettera al mese per vent’anni al figlio Samy, che non gli ha mai risposto, ne ha perso le tracce e a suo tempo è stato tradito dalla compagna di allora, Marita, che si è così guadagnata la libertà e se ne sta chissà dove con Samy.

Per giunta c’è Valerie, la vicina di casa che gli sta con il fiato sul collo; giovane donna un po’ inquietante che ha perso la custodia del figlio di otto anni e ora vive da sola in compagnia di una pistola. Non si tarda a scoprire la ragione dell’interesse della donna per Widmer: è la figlia del giardiniere che lui uccise a villa von Seichfeld, e con il pretesto di aiutarlo a trovare Samy, lo trascina a Berlino per farlo confessare e vendicarsi. On the road, l’uomo spaventato accusa Marita dell’assassinio, Valerie va a stanarla con la lucidità di un chirurgo, e da qui è solo violenza.

Nella pellicola di Connie Walther, la RAF fa da sfondo ad una storia border line di disperazioni che si intrecciano, non ne è il tema principale come per Der Bader Meinhof Komplex. Potremmo dire che la RAF è il pretesto per difendere la tesi degli sceneggiatori (tra cui la stessa Walther), secondo cui violenza chiama violenza, e le ferite che si portano dentro vittime e carnefici dopo fatti come questi, difficilmente si rimarginano e possono tornare ad insanguinare la società.
Valerie ha visto il padre morire, e da allora è fortemente disturbata, come lo è del resto Widmer che ha ucciso e si è annullato in carcere per due decadi. Quando si incontrano, il cocktail è esplosivo, e la società nella persona di avvocatessa e poliziotto “buoni” nulla può contro questi ragazzi interrotti.

Di recente il tema era stato trattato in film come Il buio nell’anima con il personaggio di Jodie Forster che esorcizzava la violenza subita con altra violenza, ma qui sembra che l’acceleratore sia spinto al massimo su questo meccanismo, senza mai fare intravedere un barlume di speranza in queste vite.
Il film è girato in un non-colore seppiato e la telecamera a spalla aumenta ancora di più la sensazione di ansia nello spettatore, acuendo quel pugno allo stomaco che è l’intera storia. Gli attori protagonisti, Franziska Petri e Ulrich Noethen, incarnano alla perfezione le ombre che alterano le anime dei loro personaggi, ma per chi guarda la tensione non si placa per tutta la durata del film, e in alcuni momenti il vortice di violenza è insostenibile.

Titolo Internazionale:
Long Shadows
Germania 2008 92′
Lingua: Tedesco
Colore, 35 mm
Regia:
Connie Walther
Cast:
Franziska Petri (Valerie), Ulrich Noethen (Volker Widmer), Tatja Seibt (Ellen Weber), Uwe Kockisch (Decker), Christoph Bach (Samy), Mehdi Nebbou (Talat), Rino Zepf (Robbi), Eva Mattes (Marita).