SCOTT HENDERSON BLUES BAND IN CONCERTO

Il chitarrista americano chiude Veneto Jazz Winter 2006

Il grande chitarrista Scott Henderson, in tour europeo con il suo trio blues, arriva anche in Italia e in Veneto, al Sonny Boy di San Vendemiano (TV); vedere il fondatore dei Tribal Tech cimentarsi con il blues, sua grande passione, è un’occasione da non perdere, e il locale è all’altezza dell’evento, che chiude la stagione invernale della rassegna “Veneto Jazz”.

Nato in Florida nel 1956, Scott Henderson è chitarrista dai molti riconoscimenti e dalle molte collaborazioni in ambito jazz-fusion. Soprattutto, è fondatore nel 1985, col bassista Gary Willis, dei Tribal Tech: band celebre tra gli addetti ai lavori e vera e propria “palestra” elettro-rock-jazz (e chi più ne ha più ne metta). Nel 1994, con “Dog Party”, il chitarrista si dedica alla grande passione di sempre, il blues, e a quell’album fa seguire “Tore Down House” (1997) e “Well to the Bone” (2002). Accompagnato dal basso di John Humphrey e dalla batteria di Kirk Covington, Henderson ci presenta la sua personale interpretazione del blues, ricca di tecnica jazz e con un’energia tipicamente rock.

Il concerto è aperto dal power trio di Aldo Betto (chitarra), Giacomo Da Ros (basso) e Bruno Farinelli (batteria), che si fa apprezzare con una miscela rock-blues suonata con tecnica ed eleganza. Il pubblico, di circa 250 persone, è caldo per l’evento della serata, e quando Scott Henderson e soci salgono timidamente sul palco sono acclamati a gran voce. Accordata la chitarra “Fender-style”, Henderson comincia subito a tessere i suoi caratteristici accordi aperti ed avvolgenti, subito seguito da Covington e Humphrey, che si lanciano insieme al chitarrista in un pezzo jazz dai forti tratti blues. Il quadro che si protrarrà per tutta l’esibizione è piuttosto divertente: Henderson in disparte a ricamare accordi e inanellare assoli; l’alto e magro Humphrey imperturbabile, “inglese”, rivolto verso il centro del palco; l’enorme e sguaiato Covington, sofferente come il blues pretende. E’ proprio il corpulento batterista ad interpretare le parti vocali dei brani proposti, dimostrandosi un’ottima voce: e quando per la prima volta agguanta il microfono, sulla funkeggiante “Meter Maid”, tratta dall’ottimo “Tore Down House”, i presenti non a conoscenza del “doppio ruolo” si guardano stupiti e divertiti. Nonostante l’istrionismo di Covington (che è anche membro effettivo dei Tribal Tech), il mattatore della serata è ovviamente Scott Henderson, assolutamente all’altezza della fama: la tecnica che gli è valsa i prestigiosi riconoscimenti delle riviste di settore è indiscutibile, e soprattutto personale e non fine a sé stessa. Accordi e fraseggi non sono mai scontati, tanto che definire la proposta strettamente “blues” è assolutamente limitante e forse fuorviante: questo termine rappresenta piuttosto il contorno entro il quale sono nati i brani e l’approccio di fondo che è adottato dal trio; ma ogni composizione e improvvisazione è un viaggio a sé, talora difficile e impervio, ricco di contaminazioni jazz e rock.

Una nota di merito va anche al fonico Michele Bon, che ha saputo valorizzare l’evento nella giusta maniera: la chitarra di Henderson, così come basso e batteria, ha potuto contare su una resa sonora impeccabile, di cui una proposta così articolata necessita per essere davvero apprezzata.

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