Il grande chitarrista Scott Henderson, in tour europeo con il suo trio blues, arriva anche in Italia e in Veneto, al Sonny Boy di San Vendemiano (TV); vedere il fondatore dei Tribal Tech cimentarsi con il blues, sua grande passione, è un’occasione da non perdere, e il locale è all’altezza dell’evento, che chiude la stagione invernale della rassegna “Veneto Jazz”.
Nato in Florida nel 1956, Scott Henderson è chitarrista dai molti riconoscimenti e dalle molte collaborazioni in ambito jazz-fusion. Soprattutto, è fondatore nel 1985, col bassista Gary Willis, dei Tribal Tech: band celebre tra gli addetti ai lavori e vera e propria “palestra” elettro-rock-jazz (e chi più ne ha più ne metta). Nel 1994, con “Dog Party”, il chitarrista si dedica alla grande passione di sempre, il blues, e a quell’album fa seguire “Tore Down House” (1997) e “Well to the Bone” (2002). Accompagnato dal basso di John Humphrey e dalla batteria di Kirk Covington, Henderson ci presenta la sua personale interpretazione del blues, ricca di tecnica jazz e con un’energia tipicamente rock.
Il concerto è aperto dal power trio di Aldo Betto (chitarra), Giacomo Da Ros (basso) e Bruno Farinelli (batteria), che si fa apprezzare con una miscela rock-blues suonata con tecnica ed eleganza. Il pubblico, di circa 250 persone, è caldo per l’evento della serata, e quando Scott Henderson e soci salgono timidamente sul palco sono acclamati a gran voce. Accordata la chitarra “Fender-style”, Henderson comincia subito a tessere i suoi caratteristici accordi aperti ed avvolgenti, subito seguito da Covington e Humphrey, che si lanciano insieme al chitarrista in un pezzo jazz dai forti tratti blues. Il quadro che si protrarrà per tutta l’esibizione è piuttosto divertente: Henderson in disparte a ricamare accordi e inanellare assoli; l’alto e magro Humphrey imperturbabile, “inglese”, rivolto verso il centro del palco; l’enorme e sguaiato Covington, sofferente come il blues pretende. E’ proprio il corpulento batterista ad interpretare le parti vocali dei brani proposti, dimostrandosi un’ottima voce: e quando per la prima volta agguanta il microfono, sulla funkeggiante “Meter Maid”, tratta dall’ottimo “Tore Down House”, i presenti non a conoscenza del “doppio ruolo” si guardano stupiti e divertiti. Nonostante l’istrionismo di Covington (che è anche membro effettivo dei Tribal Tech), il mattatore della serata è ovviamente Scott Henderson, assolutamente all’altezza della fama: la tecnica che gli è valsa i prestigiosi riconoscimenti delle riviste di settore è indiscutibile, e soprattutto personale e non fine a sé stessa. Accordi e fraseggi non sono mai scontati, tanto che definire la proposta strettamente “blues” è assolutamente limitante e forse fuorviante: questo termine rappresenta piuttosto il contorno entro il quale sono nati i brani e l’approccio di fondo che è adottato dal trio; ma ogni composizione e improvvisazione è un viaggio a sé, talora difficile e impervio, ricco di contaminazioni jazz e rock.
Una nota di merito va anche al fonico Michele Bon, che ha saputo valorizzare l’evento nella giusta maniera: la chitarra di Henderson, così come basso e batteria, ha potuto contare su una resa sonora impeccabile, di cui una proposta così articolata necessita per essere davvero apprezzata.
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