E’ difficile fare la presentazione di un libro filosofico. Se dovessi presentare però commetterei l’errore di escludere inevitabilmente qualcosa ed escludendo inevitabilmente qualcosa commetterei però l’errore di presentare. Di tutto ciò che ho appena detto salverei solo “inevitabilmente”. Dire “inevitabilmente” è qualcosa, che forse non presenta ma che nemmeno esclude. Vi ho già detto che se dovessi presentare commetterei l’errore di escludere inevitabilmente qualcosa ed escludendo inevitabilmente qualcosa commetterei l’errore di presentare? Però secondo il mio punto di vista, a volte, dire solo qualcosa è meglio che non dire assolutamente niente.
Comprendere a fondo la filosofia è da sempre considerata una prerogativa di pochi fortunati, anche solo leggere qualche riga de “L’incoerenza dell’incoerenza dei filosofi” di Averroé può essere un’impresa molto ardua per chi di filosofia ne capisce poco, se non nulla, figuriamo poi parlare di filosofia! Eppure, anche senza rendercene conto, a volte ci capita di “filosofeggiare” sul senso della vita, su chi noi siamo e sul perché ci troviamo in questo mondo, scoprendo poi come la vita attorno a noi è tutt’altro che facilmente spiegabile o classificabile: sarà capitato almeno una volta ad ognuno di noi di incappare nel tortuoso labirinto di un pensiero filosofico, anche senza essere esperti o totalmente digiuni in materia. Di sicuro “Semplicità insormontabili” non richiede una approfondita conoscenza della disciplina in questione: non per questo può essere considerato un libro inutile o superficiale, tutt’altro.
Semplice, ma solo apparentemente, è il punto di partenza delle narrazioni proposte, ma forse è meglio definirlo quotidiano invece che semplice, un punto di vista rivolto ai grandi temi esistenzialisti in maniera non teorica ma a partire da un contesto inerente al quotidiano – un’aula di tribunale, la stanza di un motel, la notizia dell’arrivo a sorpresa di un ospite indesiderato, inglobando anche i nazionalpopolari giochi del lotto e del calcio- si arriva a scoperchiare la complessità che si nasconde all’interno dei piccoli gesti di ogni giorno e a far riflettere ciascuno di noi sull’effimere leggi che reggono la nostra regolarità. Messa in luce è la fallacità dei milleuno piccoli pregiudizi volti a nascondere una “complessità insormontabile”, latente in tutto ciò che appare ai nostri occhi banale ma che, con uno sguardo lucido e disincantato, sa diventare anche paradossale: in questo senso “la semplicità” di tutti i giorni perde la cristallina linearità portatrice di stabilità rassicurante per diventare “insormontabile”.
Si tratta di piccoli avvenimenti che investono ciascuno di noi giorno dopo giorno, a volte resi “fantastici” nel libro da alcuni elementi di pura invenzione (come ad esempio il Sonnifero-Zombie che permette di addormentarsi pur mantenendo intatte le normali attività umane- come leggere, discutere ecc…) ma sempre calati in un contesto realistico, per cui comprensibili e alla portata di tutti. E se ciò non bastasse a convincere i più ritrosi ad interessarsi ad un libro di filosofia è bene specificare che il linguaggio impiegato dagli autori è di una semplicità disarmante; le storie si articolano in dialoghi che ricalcano lo stile delle sceneggiature, copioni perfetti per chi volesse cimentarsi a proporli come intermezzi teatrali.
Le 39 storielle, infatti, raggiungono una lunghezza media di 4 pagine: 39 brevissimi raccontini che non solo hanno il merito di essere concisi ed intensi ma anche di smascherare quanto la nostra realtà sia potenzialmente insormontabile: il trucco sta nel saperla osservare, nel soffermarsi con maggiore attenzione sulle azioni che compiamo tutti i giorni quasi inconsapevolmente e scoprire quanto sia delicato l’equilibrio sul quale si basa la nostra vita e le leggi che la regolano. Queste piccole storie sono il nervo scoperto di una serie infinita di regole e consuetudini che si adagiano sopra la molle e rassicurante pigrizia del quotidiano.
Per essere più chiari e dare concretezza a tutto questo “bla bla bla” prendiamo ad esempio una delle trentanove storie e precisamente Il disordine invisibile. Due personaggi imprecisati denominati “Lui” e “Lei” riflettono sulla probabilità o meno che possa uscire una determinata sequenza di testa (1) o croce (0) una volta lanciata una moneta. A prima vista potrebbe apparire più probabile una sequenza 1010 piuttosto che 0000 dato che quest’ultima serie ha in sé una regolarità (tutti numeri 0) che è più difficile da ottenere rispetto a 0011; è un fatto per noi istintivo ricondurre la sequenza 0000 ad un insieme ordinato, e quindi meno frequente, ma basta però soffermarsi sulla sequenza 1010 per scoprire che anche questa serie di numeri ha al suo interno un suo ordine, cioè la disposizione simmetrica dei numeri; lo stesso principio può valere per la sequenza 1001 dove la prima coppia di cifre è l’immagine speculare della seconda coppia. Questa piccola riflessione ne apre una ancora più profonda: ma se tra le due serie di numeri non c’è alcuna differenza di probabilità allora che fine ha fatto quel principio ordinatore che rendeva ai nostri occhi 0000 più probabile di 1010? Si è dissolto, a differenza della nostra presa di coscienza nei confronti della fallacità di un normalissimo impulso a ricondurre tutto a delle regole precise, anche la casualità stessa. Di fatto la casualità è l’unico “principio regolatore” alla base di questo piccolo gioco, dato che ogni numero ha la medesima probabilità di comparire e nessuna simmetria o immagine speculare può essere considerato un garante valido. Questa piccola conclusione ha in sé un messaggio assai meno innocuo del “banale” esempio di cui abbiamo appena trattato: se sono in totale balia del caso nel momento in cui mi ritrovo a fare i conti con semplici numeri, quanto la casualità è fondamento di ciò che mi circonda? E quanto effimere sono le consuetudini che regolano la nostra vita? Pensiamo ad esempio al linguaggio; prendiamo un sostantivo a caso, come ad esempio “giornalaio” (parola comunissima). Il suffisso “-aio” di questa parola indica un morfema atto ad creare, partendo dalla radice “giornale”, un nuovo sostantivo formulante un soggetto legato al significato giornale, il soggetto in questione è “colui che vende i giornali”. La lingua italiana prevede però l’esistenza di altri suffissi aventi la medesima funzione soggettivante come “-iere” (es. cavaliere da “cavallo”), “-ante” (es. negoziante da “negozio”), “-ore” (es. scultore da “scultura”) e così via. Dato che ciascuno di questi suffissi ha il medesimo scopo -creare un soggetto a partire da una parola- e i relativi termini sono tutti ugualmente corretti –cavaliere, negoziante, scultore sono tutti grammaticalmente esatti- allora cosa ci impedisce di poter interscambiare questi suffissi tra loro? Perché non usare “giornalante”, “scultiere” o “negoziaio”(…) al posto dei corrispettivi sostantivi canonizzati dall’italiano? L’utilizzo di una scelta o di un’altra deriva da un puro caso, visto che ciascun suffisso, nell’evoluzione della lingua, avrebbe avuto la medesima probabilità di comparire affianco a “giornalaio” o “cavaliere” o “scultore”(…). La complessità del reale arriva finanche al principale dei nostri peculiari strumenti, il linguaggio, scoperchiando leggermente il caos che il nostro cervello istintivamente cerca di organizzare per non farsi travolgere e disorientare; è all’interno di questo caos controllato che l’uomo ispessisce il suo distacco dalle molteplici varianti e dalle oscure verità (forse) latenti, intollerabili poiché nocive per le piccole grandi regole, i riti, i pregiudizi e le piccole superficialità che rendono (apparentemente) semplice e monocorde quest’insormontabile complessità.
Queste brevissime storielle non trattano solamente della casualità come unica principio regolatore della vita ma affronta molte altre tematiche, quale il concetto di libertà tra gli esseri umani (e non, come nel caso di Hic sunt leones) e come possono esercitarla (caldamente consigliato il bellissimo Stanza 88), se sia eventualmente possibile cambiare il corso del destino ipotizzando l’esistenza di una macchina del tempo, se l’identità di una persona dipende da ciò che essa ha fatto in passato o da ciò che rimane nella sua memoria (come per Amnesia parziale) e così via. E’ un testo veramente ben fatto per chi ha voglia di distaccarsi dalla saggistica o dai manuali ed affrontare in un solo libro problematiche diverse ed interessanti, senza quegli arzigogoli che scoraggiano molti ad intraprendere letture troppo impegnate. Assolutamente da leggere.
Casa editrice Editori Laterza, Roma, 2004, 194 pagine, 14,00 euro