“Perché voi ebrei rispondete sempre ad ogni domanda con un’altra domanda?”, “Perché non dovremmo?”. Così Harold Pinter rispose ad un giornalista che cercava un modo di comprendere la chiave di lettura per la sagacia e la raffinata tecnica dei dialoghi che il drammaturgo, regista ed attore inglese, proponeva al suo pubblico. Ed è con altrettanto genio verbale che, il magistrale sceneggiatore, dona carattere e fine sarcasmo all’inera struttura del film “Sleuth” in concorso alla 64° edizione della Mostra Internazionale D’Arte Cinematografica di Venezia.
Dopo il mozartiano Flauto Magico, presentato sempre a Venezia nella scorsa edizione, Kennet Branagh ritorna quindi al Lido, e lo fa in grande stile col rifacimento de Gli Insospettabili, film diretto nel ’72 da J.L.Mankiewicz, e con una sceneggiatura tesa e, per certi versi, aggressiva e violenta, ma sempre e suggestiva, appunto di Pinter.
Sleuth, letteralmente “Segugio”, è un thriller raffinato in pieno British Style, abilmente diretto e di grande effetto, sia sul piano registico, che su quello interpretativo.
La storia si svolge con soli due protagonisti in un’unica ambientazione: Andrew Wyke, un anziano scrittore di gialli, arrogante e ricco, ma molto raffinato, invita nella sua stessa proprietà di campagna, un’immensa villa straordinariamente arredata, Milo Tindle, un attore di origini italiane, belloccio e giovane, ma tragicamente povero, che sa essere, però, l’amante della moglie. Nato come un incontro chiarificatore tra gentiluomini, questa visita, però, si rivelerà essere un’arguta messinscena di Wyke ai danni del giovane Tindle.
Tra schermaglie continue, linguistiche e non, tranelli e cattiverie parapsicologiche, il film vive dell’alternanza dei protagonisti che, l’uno sull’altro, puntano all’umiliazione, alla sopraffazione, fino all’annientamento del rivale, in continuo gioco di ruoli intercambiabili.
Chiamando a sé Michael Caine (Wyke), col suo sguardo tagliente ed incisivo ma che, a tratti, risulta essere quasi amorevole, capace, col suo savoir faire, di interpretare perfettamente il ruolo che fu di Sir Laurence Oliver, e Jude Law (Tindle), dall’ormai riconosciuta bravura nei ruoli drammatici, che riveste i panni che furono proprio di Caine nell’originale prima versione, Branagh fa si che il film si svolga senza sosta e che i tre tempi che lo compongono scivolino via senza appesantirne la visione.
I dialoghi (assolutamente da ascoltare in lingua originale, un inglese perfetto e “pulito”) che sorreggono la quasi totale assenza della colonna sonora, poi, sono splendidamente ironici ed al tempo stesso taglienti, e le espressioni più divertenti nascondono solo il freddo cinismo che gela ogni momento di contatto verbale tra i due attori.
La splendida fotografia, in conclusione, è ben studiata e realizzata, e risulta capace di aggiungere suspense ed un tocco di “artisticità” all’intera pellicola.
Per nulla scontato, nonostante sia un remake, Sleuth offre al pubblico 96 minuti di tensione ritmicamente scandita dalle emozioni. Con una regia senza sbavature e leccosità speciose, con un cast essenziale, perfetto e che si muove splendidamente in una sceneggiatura altrettanto ben congeniata, Sleuth è, finora, l’unico esempio di quel che il cinema presente alla Mostra di Venezia dovrebbe sempre essere: puro cinema d’autore.
Titolo originale: Sleuth
Nazione: USA / Gran Bretagna
Anno: 2007
Genere: Drammatico
Durata: 86’
Regia: Kenneth Branagh
Cast: Michael Caine, Jude Law
Produzione: Riff Raff Productions Inc. / Timnick Films / Castle Rock Entertainment
Distribuzione: Mandate Pictures / Sony Pictures
Data di uscita: 30 agosto 2007 (Venezia 2007)