Un’ottima edizione del celebre testo di Ibsen porta sulle scene veneziane una grandissima Ilaria Occhini accompagnata da un cast perfettamente in sintonia con le sfaccettature del testo ibseniano.
Henric Ibsen era uno scrittore Svedese e fu proprio questa sua lontananza dalle grandi capitali europee, come Parigi o Londra, che gli permise, insieme a Cechov, di diventare il più sottile e acuto osservatore della borghesia. Portato al successo dallo straordinario “Casa di Bambola”, Ibsen dovette far debuttare il suo “Spettri” a Chicago, perché in patria lo consideravano un testo troppo scabroso.
Ma quali sono gli elementi che gli valsero questa critica? Innanzitutto c’è la corruzione morale del Ciambellano Alving, rispettabile padre di famiglia agli occhi di tutti, ma dissoluto uomo di mondo nel privato. Una madre, Helene Alving, che non ha mai amato il marito, ma ha sempre cercato di salvaguardare il figlio, Oswald, mandandolo a studiare fuori casa. Helene ha condotto una vita solitaria, lontana dall’amore del figlio, accanto ad un uomo che odia. Oswald, dal canto suo, è cresciuto pensando al padre come un’onesta e buona persona.
Queste sono le premesse, il dramma si apre con l’arrivo di Oswald a casa dopo un lungo soggiorno tra Roma e Parigi. Ovviamente Helene non può che essere felice del ritorno del figlio, ma molti elementi iniziano a turbare la loro vita. Innanzitutto l’arrivo del pastore Manders, con il quale Oswald ha un duro scontro sul concetto di vita morale. Da questo scontro Helene sente la necessità di raccontare al prete, e caro amico, la verità sulla sua vita matrimoniale e, in particolar modo, una vicenda torbida: dalla violenza esercitata dal Ciambellano su una serva è nata una bambina, Regine, cameriera per Helene.
Tuttavia, nemmeno dopo questa confessione, la vita di Helene migliora, anzi, si prepara a precipitare verso un finale catartico. Oswald si innamora di Regine, ma tra i due non può esserci amore perchè sono fratellastri e, per di più, si scopre che Oswald è ammalato: si tratta di una forma di pazzia ereditata dal padre che era stato affetto da sifilide. Le ultime scene segnano il confronto tra madre e figlio, la cui pazzia emerge facendolo regredire all’età infantile.
Gli elementi della tragedia greca si confondono con quelli del dramma borghese: la colpa che si trasmette per ereditarietà non è un’entità astratta, ma la fisica pazzia; il finale di espiazione della colpa vede Helene ritrovarsi sola ad accudire il figlio malato; la dubbia moralità di Regine, un fattore ereditario anch’esso, si associa al comportamento ambiguo del pastore. Su di tutti domina il falegname Engstrand, diabolico personaggio, l’unico che non viene colpito da nessuna tragedia, ma osserva lo sprofondare degli altri.
Lo spettacolo che Massimo Castri ha diretto con lo Stabile di Palermo e rappresentato al Goldoni di Venezia, ha saputo rendere tutti questi elementi con grande maestria, regalando uno spettacolo che non ha mai tempi morti né cali di tensione. Interessanti le scelte registiche e scenografiche, con un continuo tuonare che cresce via via che ci si avvicina al momento della maggior tensione drammatica e molti elementi simbolici in scena (a partire dalle scarpe rosse di Regine simbolo della sua imminente perdita morale). La scena, praticamente fissa, ritrae un interno borghese, un salotto freddo come gli animi delle persone che vi abitano.
Grandioso il cast: Ilaria Occhini interpreta magnificamente Helena, tra slanci materni e freddezza; Luciano Virgilio è un pastore Manders perfettamente delineato in tutti i suoi risvolti più sordidi; Alarico Salaroli ha il difficile ruolo del falegname che interpreta con sicurezza sottolineando le molte facce di Engstrand. Anche i due giovani attori non sono da meno: Pierluigi Corallo è un perfetto Oswald, commovente nelle scene finali di pazzia, mentre Irene Petris descrive una Regine sicura di se stessa e di forte volontà.
Caldi consensi da parte del pubblico e parecchie chiamate sulla scena.
SPETTRI – Teatro Biondo Stabile di Palermo; Di Henrik Ibsen; Con: Ilaria Occhini, Alarico Salaroli, Luciano Virgilio, Pierluigi Corallo; Regia di Massimo Castri