Salman Rushdie a Venezia per “Incroci di civiltà” 2009

Lo scrittore il 21 maggio al teatro Malibran in occasione della rassegna letteraria

Dietro gli occhiali tondi, due occhi guizzanti e lampeggianti. Verso il pubblico, che attende curioso e attento, una mano alzata in segno di saluto.

Entra così, sul palco del teatro Malibran di Venezia, Salman Rushdie, una delle più grandi firme della letteratura contemporanea. L’occasione è “Incroci di civiltà”, rassegna letteraria internazionale organizzata dal Comune di Venezia e dall’Università Cà Foscari – dal 21 al 23 maggio 2009, in sedi diverse sparse per la città lagunare – con l’obiettivo di mettere a confronto scrittori di fama mondiale e di farli dialogare con i lettori attorno ai temi della multiculturalità e del confronto tra identità diverse.

Intervistato da Marino Sinibaldi, conduttore di Fahrenheit – trasmissione colonna di Radio Rai 3 – Rushdie ha parlato a lungo del suo ultimo romanzo, L’incantatrice di Firenze, caleidoscopio di personaggi e immagini, costruito attorno ad un’unica narrazione all’interno della quale si snodano due regni – e quindi due civiltà – diverse e solo apparentemente lontane, nel periodo del loro apogeo: la Firenze rinascimentale e la corte indiana di Akbar il Grande.

Il libro, nelle cui pagine si ritrovano numerosi omaggi a Marco Polo, Machiavelli e Calvino, vive di un brulichio denso di microstorie, figure surreali, e frasi capaci di fare capriole, elementi che sono un tratto caratteristico della produzione dello scrittore e che negli anni ne hanno decretato il successo.
A proposito della scrittura e del rapporto con essa, Rushdie ha affermato che esistono due tipi di scrittori, quelli che si muovono all’interno di più cornici – i “diabetici” come ha sintetizzato abilmente Sinibaldi, che ha poi aggiunto come “la semplificazione è nemica di Salman” – e i minimalisti. “Io appartengo alla prima categoria – ha detto sorridendo – e non intendo guarire dal mio diabete”.
La multiformità, l’assenza di semplicità e semplificazione, in Rushdie, non sono solo materia raccontata sulla pagina, ma escono con prepotenza da essa, per acquistare concretezza reale. “Lo slogan ‘scontro di civiltà’, coniato da Huntington – ha infatti ricordato lo scrittore, intervenendo così direttamente sul tema della manifestazione – ha avuto successo perché è immediato e semplifica la realtà. Le divisioni e gli scontri sono presenti anche all’interno delle stesse civiltà. Per questo non posso condividerlo”. Civiltà e culture insomma non sono monoliti omogenei e fissi, ma cornici che racchiudono il molteplice.

E proprio la storia personale dello scrittore, nato a Bombay, formatosi in Gran Bretagna e residente a New York, rappresenta forse più di tante parole e definizioni il tema della rassegna letteraria e la problematica di chi si trova a vivere tra più culture, sentendosi forse sempre provvisorio. In realtà dopo aver ascoltato l’autore de I figli della mezzanotte, Shalimar il Clown e dei controversi Versetti satanici, abbiamo avuto l’impressione (o la certezza?) che questa provvisorietà sia in realtà una posizione privilegiata, che consente di poter osservare e descrivere il mondo e gli uomini attraverso una prospettiva colorata, trafficata e cangiante.