Sanremo 2010 – Terza serata

Una serata di duetti e ospiti, ritornano in gara Valerio Scanu e Pupo

La terza serata del festival di Sanremo tra croce e delizia. Una puntata che sembra quella della domenica dopo la finale del festival, un tranquillo talk show nel quale però si fa una tristanzuola rivisitazione del festival che fu, piuttosto che da terza serata di Sanremo.

La croce dei cinque big presunti, giusto quelli che nelle scorse serate sono stati, non a torto, fatti fuori, e che si esibiranno in duetto con ospiti che, lo sperano, ne possano risollevare le sorti. E la delizia (poca per la verità) di tre su otto tra gli ospiti fuori concorso della musica italiana, presenti sul palco dell’Ariston per omaggiare i sessant’anni di onorata carriera della manifestazione canora. Interpretano alcuni dei brani che hanno fatto la storia del festival e, ovviamente, usano l’eurovisione come bella vetrina promozionale per i loro lavori in uscita (credo che a parte Ranieri e Cocciante, tutti gli altri abbiano un disco in uscita o già in vendita da promozionare).
Ci sono stati anche i giovani, sì, relegati a fine serata come da tradizione, ma andiamo con ordine.
Dopo un’introduzione in cui sullo schermo scorrevano video di classiche esibizioni sanremesi, Antonella fa il suo ingresso vestita da rocher (il cioccolatino, esatto) e dà l’avvio alla seconda serata. Fondamentale è il televoto, purtroppo due delle cinque opere d’arte escluse nei giorni scorsi rientreranno in gara, e il danno sarà fatto al 50% dal televoto e al 50% dall’orchestra; la scusante è da ricercare nel regolamento, e, se vogliamo dirla tutta, a monte nei selezionatori.

Un due tre e si entra immediatamente nel “vivo” della serata, con le esibizioni dei cinque big esclusi in duetto con un ospite a loro scelta.
A rompere il ghiaccio ci pensa Toto Cutugno, con lo stesso orecchino della prima serata ma accompagnato da Belen Rodriguez in abito nero. Assodato che Belen è più intonata di Cutugno, il suo apporto non riesce a dare lo slancio necessario alla canzone per passare da voto 2 ad almeno voto 3. Niente da fare.
Pupo, Emanuele Filiberto e Luca Canonici si esibiscono con le Divas (Marcello Lippi avrà pensato bene, per scaramanzia, di evitare di accompagnarsi a questo simpatico oggi, per le sorti dell’Italia mondiale, non per altro). Una versione yavanna-cantigregorianizzata che non risolleva le sorti della vergogna nazionale.
Valerio Scanu fa il poker d’”Amici” con Alessandra Amoroso (dopo Pierdavide Carone autore e Peppe Vessicchio alla direzione d’orchestra). L’arrangiamento vecchio era e vecchio resta, forse Alessandra con la sua voce riesce a dare un brividino in più, ma solo perché è brava sempre.
I Sonohra con Dodi Battaglia, a parte la schitarrata iniziale e un animo un tantino più duro, non risolvono molto di più rispetto all’originale.
Nino D’Angelo è accompagnato dalle Voci del Sud: sei artisti di sei regioni del meridione insieme a lui nell’esecuzione. L’apporto dell’organetto di Ambrogio Sparagna impreziosisce ulteriormente un arrangiamento già ricco di suggestioni orientali.

Sono le 22. Dopo esserci scrollati di dosso l’incombenza dei casi disperati, arriva il momento dei super ospiti celebrativi. Si legittima così il titolo della serata di oggi: “Quando la musica diventa leggenda”.
Apre le danze Elisa: con una falsa partenza e un elegante cilindro da sera, fa il suo ingresso dal parterre intonando il ritornello di Luce (Sanremo 2001), guadagna il palco e, dopo i convenevoli di rito con la padrona di casa, attacca un’impeccabile interpretazione di Canzone per te, pezzo di Sergio Endrigo che vinse Sanremo nel 1968.
Archiviata la celebrazione della maternità con un doveroso saluto alla neomamma Giorgia, un medley con Ti vorrei sollevare, Anche se non trovi le parole, Your Manifesto carica la platea, anche grazie ai quaranta ballerini mossi dalle scatenate coreografie di Luca Tommassini (i coriandoli bianchi in realtà fanno molto XFactor). Ad avercene ancora…ma le esibizioni non saranno tutte così!
Fiorella Mannoia, nella sua algida eleganza (Antonellina, potresti prendere esempio da lei, il nero sfina, n.d.a.) interpreta a suo modo E se domani, cantata in origine da Fausto Cigliano e Gene Pitney, eliminata la prima sera dell’edizione 1964 e resa celebra dalla riedizione di Mina. La sua versione di Estate, portata al successo dai Negramaro e contenuta nel suo ultimo album di cover, saluta il palco dell’Ariston. Ecco, forse in formissima non era, ma una serata “ni” può capitare anche a una signora della musica come lei.
Dopo la Mannoia, è la volta di Miguel Bosè, che dice di aver preso le sembianze dell’uomo maturo cantato da Gigliola Cinquetti nel 1964 con Non ho l’età, e lo interpreta con quell’aria da uomo che non deve chiedere mai, un po’ scazzato un po’ scanzonato, con classe, ma discutibile, ecco. E dopo, in anteprima, presenta Por ti, pezzo pop dei suoi più classici, nulla da dire, forse è meglio.
Edoardo Bennato porta a Sanremo un personalissimo omaggio a Luigi Tenco, cantando Ciao Amore Ciao (tristemente collegata al suicidio del cantante, dopo la sua eliminazione al Festival del 1967, per ricordarci che l’ipocrisia è di casa in riviera fin da subito), elettrificandolo forse un tantino troppo rispetto alla natura del brano. Un bel medley classico del repertorio bennatesco (in serie Un giorno credi e Il rock di capitan Uncino) e poi è la volta di E’ lei, il nuovo singolo che anticipa l’album di prossima uscita “Le vie del rock sono infinite”.
Massimo Ranieri canta nella doppia versione italiano/inglese una magistrale Io che non vivo senza te, interpretata nel 1965 da Pino Donaggio ma, sorpresa delle sorprese, improvvisa un duetto con la Clerici versione infante (“un pezzettino, un pezzettino!” zompetta felice lei). Ranieri lascia il palco sulle note della sua celebre Perdere l’amore, corsi e ricorsi storici ventidue anni dopo, con la platea che fa incredibilmente partire cori da stadio e gli tributa una standing ovation (età media 70’anni, presumo).
Siamo di fronte alla seconda delizia della serata (dopo dovremo ringraziare Renga e di nuovo Elisa con la Mannoia): Carmen Consoli. La cantantessa fa il suo ingresso semplice ed elegante, direttamente cantando Mandaci una cartolina, ultimo singolo tratto da Elettra, e dedicata al padre. Esibizione essenziale, basta la sua voce a riempire il palco. Un amore di plastica a cappella mette i brividi (e si spera non ci faccia venire i capelli bianchi, come è successo a Carmen dopo quel Sanremo 1995 che ha segnato il suo esordio). Con lei anche la classica Grazie dei fiori, interpretata da Nilla Pizzi, vincitrice della prima edizione del festival nel 1951, riacquista vigore con la sua classe e un rinnovato intro di fiati. È sulle ultime note che Carmen e la Clerici accolgono sul palco Nilla Pizzi, avvolta da un lungo abito nero con stampa di rose bianche, a mò di drappo funebre. E, spiace sparare sulla croce rossa, magari accertarsi che la signora riesca ancora a capire dov’è prima di smuovere un sentimento gratuito di pietà di fronte a una novantenne che ha fatto la storia della musica e che oggi, diciamo così, sembrava un po’ spaurita. Ma la voce per Vola colomba ce l’aveva, eccome se ce l’aveva, chapeaux.

È la volta di Riccardo Cocciante che rivisita (??) Nel blu dipinto di blu, interpretata da Domenico Modugno e vincitrice nel 1958. E subito, dopo un siparietto con l’immancabile padrona di casa, ci delizia con Se stiamo insieme ed esegue al pianoforte, accompagnato dagli attori della sua compagnia, alcuni brani tratti dai musical “Romeo e Giulietta” e “Notre Dame de Paris”. È il Cocciante classico che ogni anno, in una veste o nell’altra, fa la sua comparsa sul palco di Sanremo.
Tiriamo un attimo il respiro, il tempo di rivedere (ancora, nel caso ci sfuggisse qualche stonatura) i big da salvare e si ricomincia con gli ospiti: Francesco Renga intona in modo ineccepibile La voce del silenzio, interpretata da Tony Del Monaco e Dionne Warwick e arrivata ultima nel Sanremo del 1968 e subito dopo la sua versione di L’immensità di Don Backy. Per finire una dedica a tutti i bambini del mondo (per essere in linea con la retorica festivaliera) con la sua Angelo, vincitrice nel 2005, e un ciao a tutti.
La serata sta per finire (si si, i giovani dopo la mezzanotte, tranquilli) e in scena ecco Fiorella Mannoia con Elisa: in due per un tributo dovuto, Almeno tu nell’universo, un saluto speciale e commosso a Mia Martini. E insieme su quel palco non possono fare che bene, da applausi, veri.

Alle 00.10 del 19 febbraio tocca ai giovani.
La povera Jessica Brando è minorenne, la mezzanotte è passata e mamma Rai risolve la situazione mandando in onda la registrazione delle prove. La più piccola del festival, targata Emi, canta Dove non ci sono ore, classica canzone sanremese che, non strano per questa edizione, poco si addice alla sua età. La sua voce avrebbe potuto trovare applicazione migliore.
Nicolas Bonazzi canta Dirsi che è normale, e rimane su quel liminale pop sanza infamia e sanza lode, senza rischio alcuno per la buona reputazione del festival insomma.
La Fame di Camilla si cimentano in Buio e Luce, ballata pop rock che farà strada, indipendentemente dall’esito della gara, soprattutto perché alle spalle ha la produzione di un esperto del settore come Fabrizio Barbacci.
Tony Maiello, da scuola XFactor, canta Il linguaggio della resa. Altro giro altra corsa, pare che quest’anno ci si sia appiattiti sul moscio andante. E, arrivati alle 00.36, il linguaggio della resa diventa quello utilizzato dagli incolpevoli spettatori.
Il salentino Romeus, come i Negramaro figlio putativo di Caterina Caselli, canta Come l’autunno. Schitarrate che portano la firma di Corrado Rustici accompagnano gli incisi. Non male, non fosse per quel ritornello un po’ troppo “facile”.

Abbiamo finito, per stasera: per la Nuova Generazione passano Jessica Brando (inaspettatamente, dice la Clerici) e Tony Maiello. I big ripescati invece sono Valerio Scanu e, udite udite incredibile ma vero, Pupo con Emanuele Filiberto e Luca Canonici.
Italia sob, Italia prot, la terra dei cachi…

Foto a cura di Romina Greggio Copyright © NonSoloCinema.com – Romina Greggio